Perché il messaggio di Hamilton è servito alla Formula 1

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Credits: Mercedes

Il sei volte Campione del Mondo Lewis Hamilton ha affidato ai social il proprio messaggio sugli eventi che stanno prendendo piede negli Stati Uniti. Le parole rabbiose e sofferte dell’inglese hanno portato molti esponenti del Circus a schierarsi a favore del movimento Black Lives Matter, rischiando al contempo di generare una spaccatura nel Paddock. Avrebbe potuto Hamilton agire diversamente?

Il 25 maggio 2020 segna un punto di svolta nell’attivismo sociale e politico a favore dei diritti della comunità delle persone di colore. A seguito della morte del quarantaseienne afroamericano George Floyd nelle principali città degli Stati Uniti sono state inscenate proteste più o meno pacifiche a supporto del movimento Black Lives Matter. La scomparsa di Floyd, avvenuta a Minneapolis durante un intervento della polizia e diffusa tramite video sui social network, è l’ennesimo esempio di una lunga lista di brutalità perpetrate ai danni della comunità afroamericana da parte delle forze dell’ordine nel paese a stelle e strisce.

Black Lives Matter è un movimento nato nel 2013 e si propone di combattere il razzismo sistemico perpetrato nei confronti delle persone di colore. Nel corso degli anni il movimento ha dato vita a molte iniziative, anche e soprattutto in risposta ai frequenti episodi di violenza immotivata da parte della polizia verso esponenti della comunità afroamericana. Durante la sua storia il movimento ha avuto adesioni e dichiarazioni di supporto da ogni parte del globo. Moltissime personalità di spicco hanno aderito a #BLM, e anche nelle recenti proteste gli endorsement non sono mancati. Alla lista delle celebrità che hanno dato il proprio sostegno alla causa non poteva che aggiungersi Lewis Hamilton, sei volte Campione del Mondo di Formula 1.

LE BARRIERE ABBATTUTE DA HAMILTON

Lewis Carl Davidson Hamilton è da considerare un pioniere della Formula 1. Nato a Stevenage nel 1985 da una famiglia mista della classe operaia inglese, Lewis domina nelle classi minori e arriva nella Classe Regina nel 2007, all’età di 22 anni, diventando il primo pilota mulatto a prendere parte al campionato di Formula 1. Sfiora la vittoria del mondiale all’esordio vincendo quattro GP e ottenendo 12 podi di cui 9 consecutivi. Il britannico ha inciso il proprio nome nell’albo della Massima Serie svariate volte. Oltre ad aver detenuto per un breve periodo il primato di Campione del Mondo più giovane della storia (stagione 2008, 23 anni 9 mesi e 26 giorni), l’attuale pilota Mercedes ha all’attivo circa 32 record che lo collocano di diritto nell’olimpo dei piloti più forti della storia.

Nonostante i numerosi successi, durante tutto l’arco della sua carriera Hamilton non ha mai dimenticato le sue origini. L’inglese ha sempre fatto presente di essere incredibilmente grato al padre, al quale deve molto del suo successo, e a Ron Dennis, l’ex-presidente della McLaren che lo raccolse sotto la sua ala protettrice all’età di 12 anni. Il britannico non ha mai nascosto la sua volontà di voler utilizzare la propria influenza per provare a restituire qualcosa alla comunità. Uno dei punti che è più cari al pilota della scuderia di Brackley è la promozione di un sistema economico più equo che permetta a chiunque un’eguale chance di accedere alle categorie più basse del Motorsport.

LA MOSSA INCRIMINATA

In seguito agli eventi di Minneapolis, dopo alcuni giorni di silenzio Lewis ha deciso di farsi sentire tramite i propri profili online. Hamilton è famoso per un utilizzo molto diretto dei social ai quali molto spesso ha affidato messaggi e riflessioni personali. Stavolta però, oltre ad esprimere la propria rabbia verso la situazione negli USA, Hamilton si lascia andare a un‘accusa per niente velata diretta agli altri piloti del Circus, rei, secondo l’inglese, di rimanere silenti di fronte alle ingiustizie. Questo il pensiero condiviso il primo giugno:

Hamilton
Credits: Instagram Lewis Hamilton

“Vi vedo che rimanete silenti, alcune delle stelle più brillanti, che rimanete silenziose nel mezzo delle ingiustizie. Non un segnale da nessuno del mio settore, che ovviamente è uno sport dominato da bianchi. Sono una delle poche persone di colore lì eppure sono solo. Avrei pensato che ad ora avreste visto cosa succede e avreste detto qualcosa, ma non potete stare dalla nostra parte. Sappiate solo che so chi siete e che vi vedo…”.

Dopo aver letto queste parole, la comunità dei fan della Formula 1, oltre a innescare l’inesorabile macchina della satira, si è letteralmente divisa in due. Il messaggio, scritto d’impulso e in preda a una feroce rabbia, come lo stesso Hamilton ha poi spiegato, è stato recepito in molteplici modi dai tifosi, che si sono divisi tra chi loda il suo coraggio e chi invece non condivide la mossa di Lewis.

LA PRESA DI POSIZIONE

Il rimprovero di Lewis ha fatto si che i protagonisti della Formula 1 stessa rompessero gli indugi dichiarando il proprio supporto alla lotta al razzismo. I più concordano sull’affermare che il gesto dell’ex-pilota McLaren fosse necessario per smuovere certe coscienze troppo a lungo assopite. E’ indubbio come la promozione di un messaggio è tanto più riuscita quanto più è largo il bacino di popolazione che esso riesce a raggiungere. In questo caso giocano un ruolo fondamentale le personalità di spicco della società quali i piloti possono essere. Grazie al loro seguito più o meno nutrito, essi possono fungere da cassa di risonanza riuscendo a veicolare tali messaggi più rapidamente, assicurando al contempo una diffusione degli stessi su più larga scala.

Alcuni tifosi hanno rigettato il modus operandi di Hamilton, accusato di aver quasi estorto una presa di posizione ai colleghi. Come ampiamente dibattuto, un qualsiasi diritto è associato all’eventuale facoltà di non avvalersene, cosa che vale anche per il diritto d’espressione. Senza addentrarci in considerazioni su quanto questo atteggiamento sia condivisibile o meno in certe condizioni, e soprattutto quanto esso possa essere giustificato, una delle tesi che i critici sostengono è che uno schieramento successivo rischierebbe di essere considerato poco sincero e spontaneo o addirittura un’azione di comodo.

IL GIUSTO FINE DI HAMILTON

Non dovrebbe essere necessario specificare come la condanna di qualsiasi tipo di razzismo stia alla base di una società civile e moderna. Non c’è inoltre motivo alcuno per credere che coloro che abbiano manifestato vicinanza alla popolazione di colore mondiale non l’abbiano fatto nella più totale sincerità. Dettate dalla rabbia e dal dolore di aver dovuto subire in prima persona discriminazioni razziali, le parole di Hamilton hanno almeno inizialmente tracciato una linea di demarcazione che, almeno idealmente, ha spaccato in due il Paddock.

Certo, forse ci sarebbe piaciuto vedere una più simbolica presa di posizione unanime e ufficiale da parte degli organi della Classe Regina prima della storia incriminante, magari tramite un comunicato unificato FIA, Liberty Media e GPDA, ma l’immediata levata di scudi a sostegno del collega da parte dei piloti della Formula 1 è comunque un segnale molto forte. Ben venga dunque l’attacco di Hamilton se esso ha aiutato a diffondere la giustissima causa di Black Lives Matter, dandole man forte.