Lauda, Prost, Hamilton: quando il segreto è la costanza

Hamilton

Credits: Mercedes Press Area

Una statistica curiosa che fa emergere due elementi: la grande affidabilità della Mercedes e un Hamilton che riesce sempre a tenersi lontano dai guai

La carriera di Lewis Hamilton è fatta di tanti numeri che in Formula 1 non si erano mai visti. I 98 Gp vinti, le 100 pole, i 169 podi. Ma tra tutti questi record ne esiste uno che ha il merito di restituire la dimensione di un pilota che ormai da tre anni è allergico allo zero: togliendo dal calcolo il weekend in Bahrain saltato per la positività al Covid, l’inglese è riuscito ad andare consecutivamente a punti nelle ultime 53 gare che lo hanno visto ai nastri di partenza. Più di due stagioni intere senza una vera e propria battuta d’arresto.

Un dato impressionante, che fa emergere più di qualche riflessione. Innanzitutto è evidente che, a differenza di quanto avveniva nei primi anni duemila, col passaggio all’era ibrida la Mercedes è stata in grado di coniugare la potenza dei propri propulsori con una straordinaria affidabilità. E poi c’è un Hamilton che ha la dote innata di correre con lungimiranza, tenendosi lontano dai guai. E lo abbiamo visto anche a Barcellona, quando alla prima curva ha lasciato la porta aperta a Verstappen temendo le conseguenze di un possibile contatto.

“Nella mia visione la gara è sempre una maratona e non uno sprint”, ha commentato l’inglese al traguardo dopo aver ottenuto l’ennesima vittoria, manifestando un mindset all’insegna dell’utilitarismo. Questo non significa certo che Hamilton sia un pilota esente dagli errori. Sbaglia anche lui, ma spesso (come accaduto ad Imola) riesce a metterci una pezza. E nell’ottica di un campionato del mondo portare a casa qualche punto anche nelle giornate peggiori è di un’importanza fondamentale.

LA PARABOLA DI PROST: STESSI INIZI, STESSO MAESTRO

Forse il “nuovo” Lewis può sorprendere chi ha imparato a conoscerlo ai tempi della McLaren, quando era visto come un pilota troppo pasticcione e poco incline al calcolo. Eppure, a pensarci bene, l’evoluzione di Hamilton lungo la sua carriera ricorda la parabola di un altro grandissimo nome di questo sport: Alain Prost.

Per indicare il suo approccio molto tattico al mondo delle corse il francese è oggi ricordato come “Il Professore”. Ma le cose non sono sempre state così. Nei suoi primi anni in Renault anche Alain era un pilota molto aggressivo ed esuberante, tanto che questo modo di fare finì addirittura per costargli il suo primo campionato del mondo nel 1983 quando da leader del mondiale andò a tamponare Piquet a Zandvoort.

La svolta del transalpino avvenne nell’anno successivo, quando nel passaggio alla McLaren incrociò la propria strada con quella di Niki Lauda, soprannominato “Il computer” per via della sua grande freddezza al volante. Per Prost il vecchio austriaco fu un maestro dal quale apprendere ogni singolo segreto, e uscì da quell’annata sconfitto nel risultato in pista (per mezzo punto…) ma rafforzato nella consapevolezza e nella metodologia di lavoro.

Tornando ad Hamilton, non c’è dubbio che il momento spartiacque della sua carriera sia stato l’approdo in Mercedes, quando in pochi credevano che avrebbe potuto raccogliere così tanto. Ironia della sorte, a convincere definitivamente il britannico a sposare il progetto della casa di Stoccarda fu ancora Lauda, stavolta nelle vesti di dirigente. Un incontro che, usando le parole dello stesso Lewis, gli ha stravolto la vitatrasformandolo in quell’incredibile cannibale che oggi conosciamo.

Imparare dai migliori. Questo è quello che hanno fatto prima Prost e poi Hamilton, trovando nella saggezza di quel mito col berretto rosso la chiave di volta per portare la propria carriera ad un livello superiore.