Hamilton e la solitudine dei numeri primi: un paragone a primo acchito bizzarro, ma che in realtà cela come non si entri nella storia per caso

Credits: Mercedes Press Area

Hamilton e la solitudine dei numeri primi, un paragone a primo acchito bizzarro, ma che in realtà cela come non si entri nella storia solo per fortuna

100 volte Hamilton, che è come la solitudine dei numeri primi, che sono da tanti ammirati perché ritenuti unici e inarrivabili, ma da altri tanto odiati. Ciò perché non se ne riconosce la straordinarietà, nascondendo il tutto nell’ovvietà della fortuna. Come se fosse quasi necessario ripetere in un loop straziante, un concetto che in realtà sembra far acqua da tutte le parti. Ma davvero si vuol ridurre il complesso e altrettanto adrenalinico mondo della Formula 1 a una serie di fortune? E quindi di conseguenza di vittorie immeritate da parte di chi, piaccia o meno sta scrivendo pagine di storia?

Simpatici a tutti non si può stare e questo è anche vero. Ma la classica frase: “Vince perché ha un bolide” ormai non solo è trita e ritrita, ma è anche sintomo che oltre questa solfa antipatica non si sa andare. Ciò può essere definita come mancanza di argomentazioni a riguardo, mera antipatia o semplicemente si parla per partito preso? Il devastante mix di tali elementi porta alcuni ad avere scarsa obiettività, mancanza di rispetto nei confronti dell’avversario, ma soprattutto fa cadere nel loop di non riconoscerne mai i meriti. Ogni scusa è buona per dargli addosso.

CONFRONTO IMPIETOSO PER BOTTAS A CAUSA DEL DIFFERENTE RENDIMENTO

Ogni vittoria non sarebbe avvenuta grazie a, se non fosse avvenuto questo o quello e un’altra lista di motivi che hanno tutto l’aspetto di essere aberranti e anche discriminanti. Basterebbe semplicemente analizzare la carriera del sette volte campione del mondo, con un tantino di obiettività. Perché non si tratta di voler idolatrare, bensì di spiegare ovvie verità ai suoi detrattori. A chi afferma che appunto vince perché dispone di un’astronave, mi verrebbe da chiedere: “Ma i compagni di squadra che spesso ha disintegrato, non hanno lo stesso bolide di cui dispone lui?” Eppure il confronto con Bottas è impietoso, per il finlandese ovviamente.

Stessa vettura, stesso team, medesime opportunità, eppure il finlandese non è riuscito a imporsi come avrebbe dovuto. Se forse a volte sembra che abbia potuto quantomeno impensierire Lewis, neanche il ruolo dello scuderio gli riesce più di tanto. Basti pensare a Sochi, la pista dove Bottas è designato come favorito, perché riesce a essere persino più forte di Hamilton. Eppure stavolta, seppur è vero che partisse dal fondo, non è riuscito ad andare oltre del quinto posto. Ma anche Verstappen è partito dal fondo, eppure è arrivato secondo. La differenza nel rendimento sta anche in questo, saper ottimizzare quando è il momento

In ottica, quantomeno del Costruttori era importante tenere il più possibile dietro Verstappen. Invece cos’ha fatto il buon Valtteri? Il nulla cosmico! Possibile che con un mezzo performante come la Mercedes non sia riuscito a battagliare ad armi pari con l’olandese? In questo caso non si è trattato solo della classica Red Bull che ti mette le ali, bensì di un Bottas che ha sfruttato molto poco le qualità della monoposto a disposizione. Ciò a dimostrazione che non basta avere il bolide, ma occorre saperne sfruttare tutte le potenzialità al massimo, per spingersi oltre il limite. O forse era più performante l’Alpine di Alonso?

 

DEBUTTO CON IL BOTTO: ALONSO COME COMPAGNO DI SQUADRA

Ma andando a ritroso, quindi facendo un ritorno al 2007, sin dal suo approdo al Circus ha dimostrato di essere forte mentalmente e anche in pista. Debuttare da una categoria minore in un team di Formula 1 richiede una buona dose di adattamento, si sa. Ma ritrovarsi come compagno di squadra un pilota ostico come Alonso, all’epoca campione in carica da due anni consecutivamente, sarebbe da incubo per chiunque. Eppure Lewis per poco non ha vinto il mondiale in quell’anno.

Presentato come il nuovo mito della classe regina del Motorsport, quindi team, addetti ai lavori e appassionati avevano notevoli aspettative su di lui. Aspettative che ha ampiamente dimostrato di meritare, sapendo reggere bene la pressione. Ciò nonostante l’incombenza di avere un compagno di squadra scomodo, con più esperienza e persino campione del mondo, centrando quasi persino, l’obiettivo massimo. Si è trattato di fortuna anche in quel caso?

UNA VIA DI MEZZO CHE FA CRESCERE: LA SCONFITTA BRUCIANTE INFLITTA DA ROSBERG

Ma anche nella più brillante delle carriere, c’è sempre qualcosa che mescola le carte: il mondiale del 2016 vinto da Rosberg. Un epilogo atteso da molti, quasi inaspettato, ma che ha comunque cambiato Hamilton. Forse si può definire l’evento spartiacque di tutta la sua carriera, la via di mezzo che l’ha reso quello che è adesso. Con i sé e con i ma non si costruisce la storia, ma probabilmente senza quella scottante sconfitta che l’ha segnato profondamente, il sette volte campione del mondo non sarebbe così forte sia a livello mentale, che agonistico. La consapevolezza dei propri mezzi e la determinazione assoluta contribuiscono alla costruzione del mito.

HAMILTON E LA SOLITUDINE DEI NUMERI PRIMI: 100 VITTORIE NON SI CONQUISTANO PER CASO

Dare patenti di tifo non mi appartiene e non mi compete. Ma sminuire h24 ogni vittoria, tirare fuori la solita e imbarazzante solfa del “maFia Mercedes” che mi svilisce solo a riportarlo, rende per caso più appagante tifare? E non ci si dovrebbe neanche adirare più di tanto, perché chi fa così sembra che provi quasi gusto a fare il bastian contrario della situazione sempre e comunque. Quasi come se fosse il divertimento della vita polemizzare ogni aspetto di ogni singola gara effettuata da Lewis Hamilton. E una volta vince perché ha buttato fuori Verstappen, e un’altra perché Norris ha commesso un errore, un’altra ancora perché è favorito e bla bla bla, ma davvero ci si diverte con così poco?

Che piaccia o no Hamilton ha raggiunto la 100esima vittoria in carriera. Seppur non sia un’amante sfegatata dei numeri, occorre ricordare che mai nessun pilota è stato così vincente nella storia del Circus. Quindi sentire l’opinione quasi comune che abbia vinto soltanto a causa dell’errore di Norris, mi sembra mortificante, ma non per il britannico, bensì per coloro che esprimono ciò. Che Norris abbia fatto una gran gara, sicuramente più che brillante, non ci piove. Purtroppo però ha peccato di inesperienza, come ahimè è anche giusto che sia, o si vuol far anche un processo alle intenzioni al buon Lando?

Hamilton, sfruttando l’esperienza di cui dispone ha capito che era il momento di rimanere dietro al connazionale. Ma poi vedendo le condizioni della pista peggiorare ha deciso di rientrare. I piloti vincenti si sa, sono quelli che più si attirano antipatie e anche congetture che fanno un po’ sorridere. Sembra quasi, che per alcuni, chi vinca troppo diventi il capro espiatorio da annientare. Non è una cosa certamente nuova, infatti così è stato per Senna, Schumacher, Alonso, Vettel e molti altri. E forse guardando da una prospettiva differente, non con lo sguardo polemico suscitato da determinate e continue discutibili affermazioni, ma con gli occhi del solo tifoso (accecato appunto dal tifo, quindi in diversi casi, anche poco obiettivo) ci può stare.

Purché ciò non diventi uno sport nazionale, o una lotta al massacro che tende solo a sminuire e mai a dar merito. Perché davvero capisco quanto un pilota così vincente possa dare quasi sui nervi, capisco che si voglia un Circus più imprevedibile, ma sarebbe anche opportuno, andare ben oltre il tifo e godersi lo spettacolo che questo magnifico e al tempo stesso dannato sport ci regala, con un mondiale tutto ancora da giocare e che non diventa più incalzante ritenendo Hamilton non degno dei record ottenuti, grazie al quale, che piaccia o meno, sta scrivendo pagine di storia.