Alex Caffi a F1world: “Vi racconto la mia esperienza all’Andrea Moda”
Abbiamo avuto il piacere di intervistare Alex Caffi e rivivere la sua carriera tra ricordi belli e alcuni meno piacevoli, ma con un unico comun denominatore: la voglia di correre e di farlo al massimo. E sulla Formula 1 di oggi…
Ex pilota di Formula 1, vincitore del campionato francese GT nel 2002 e di quello italiano GT2 nel 2006, Alex Caffi è un orgoglio dell’automobilismo italiano. Tra i suoi successi in carriera, c’è anche la vittoria del Monaco Grand Prix Historique nel 2016. Nell’intervista che gli abbiamo fatto – della quale potete recuperare il video integrale dal nostro canale YouTube – in questa prima parte abbiamo parlato della sua carriera, tra ricordi piacevoli e altri meno belli, ma che in comune hanno la passione sfrenata per questo sport!
Il 18 marzo sarà il tuo compleanno e festeggerai sessant’anni. Qual è il miglior ricordo che hai dei tuoi anni in pista? E il migliore fuori dalla pista?
Davvero difficile rispondere a questa domanda. Se consideriamo che ho iniziato a gareggiare nel motocross a dieci anni, sono ben cinquant’anni di carriera in sessant’anni di vita vissuti. Ne ho viste veramente tante. Ricordarle tutte è difficile, forse però il ricordo più bello è legato al posto dove sono oggi, cioè a Monte Carlo. Qui nell’89 ho conseguito il miglior risultato in Formula 1 quando mi classificai quarto ad un soffio dal podio. E’ stato il coronamento di tanti anni di sacrifici, iniziati molti anni prima di approdare nella classe regina del motorsport.
Ottenere un risultato del genere in uno dei Gran Premi più prestigiosi e in un’epoca in cui il pilota era considerato più importante della vettura, è stata sicuramente un’emozione che non dimenticherò mai. Per quanto riguarda invece un mio ricordo personale, direi sicuramente la nascita dei miei figli, Michele e Valentino. Penso che la gioia che ti regala la nascita di un figlio sia un’emozione imparagonabile.
Pochi mesi fa è uscito il docufilm sull’Andrea Moda, in cui si staglia la figura imprenditoriale di Andrea Sassetti. Come hai conosciuto Andrea Sassetti e come ti ha convinto a firmare il contratto e quali sono i retroscena che si celano dietro alla firma?
L’avventura all’Andrea Moda è stata alquanto bizzarra se così vogliamo dire. Ma anche dalle esperienze difficili si può sempre imparare. Il modo in cui ho conosciuto Andrea Sassetti è piuttosto semplice. lo venivo da varie stagioni in Formula 1, dove avevo comunque ottenuto dei buoni risultati (il quarto posto a Monaco e il terzo in griglia di partenza in Ungheria), poi successivamente sono passato alla FoodWorks Arrows con il motore Porsche, sperando finalmente di poter fare quel salto di qualità che tanto desideravo.
Il team sembrava finanziariamente stabile, con alle spalle un motore importante, ma soprattutto fondamentale era la presenza di Michele Alboreto. Quest’ultimo aveva la voglia di rivalsa soprattutto nei confronti della Ferrari, dalla quale era appena uscito. Tutti avevamo posto grandi aspettative su questo progetto, poi sappiamo com’è andata: la Porsche fece un motore che non funzionò. Metaforicamente parlando mi sono quindi visto crollare il castello che avevo pensato di potermi costruire.
E’ stato un periodo brutto, in cui mi sentivo un po’ perso, quasi di aver fallito. Inoltre, non vedevo tante altre alternative dopo aver visto sfumare questo progetto. Alla fine insomma si è palesata l’opportunità con questo giovane imprenditore (Andrea Sassetti) che voleva rilevare tutto il materiale della Colonia, con il quale io avevo vinto un campionato europeo in Formula 3. Conoscevo bene l’ambiente e come si lavorava. La vettura era discreta. I presupposti per un progetto di valore c’erano tutti: Sassetti mi aveva rivelato che la vettura sarebbe stata nuova, con un nuovo telaio dall’Inghilterra (della Sintech) e il motore JAL, molto potente per l’epoca.
Era un’occasione per me di rivalsa dopo le due stagioni disastrose con l’Arrows. Anche lì poi abbiamo visto tutti come è andata a finire, grazie al documentario che sta spopolando. Sono ben felice di questo, soprattutto per Andrea. Per quanto riguarda invece gli affari, ritengo abbia fatto il passo più lungo della gamba, un qualcosa che non poteva sostenere a livello economico. Come se non bastasse cosa ha fatto? Si è messo contro il potere forte di quell’epoca, Bernie Ecclestone, che aveva la gestione esclusiva della Formula 1. Andrea pensava di arrivare e poter cambiare le carte in tavola.
Alla fine è stata però anche questa un’esperienza che mi ha fatto capire tante cose. Il documentario è fatto bene e i fatti raccontati sono quelli veri. Definirlo il peggior team di sempre non mi sembra giusto: non è che avesse cose peggiori degli altri, semplicemente mancava in tantissimi altri aspetti. In primis il sostegno economico, che è fondamentale in Formula 1.
Ho incontrato anche il regista Massimiliano Sbrolla e ho rivisto con piacere anche Andrea. Con lui ho sempre avuto un buon rapporto, ho scelto io a un certo punto di andarmene perché ho capito che non c’erano possibilità, ma lui è sempre stato correttissimo sia dal punto di vista umano che anche contrattuale con me, ha sempre mantenuto quello che aveva detto di voler fare, quindi insomma è stata comunque una bella opportunità per ritrovarsi, rivedere anche i vecchi amici e sì, ricordare delle cose un po’ strambe come appunto quella della firma del contratto che è stata fatta al night di Andrea.
Come è stato tornare a bordo di una vettura di Formula 1 per il Monaco Grand Prix Historique nel 2016?
E’ stata un’esperienza bellissima, fino all’ultimo non sapevo cosa aspettarmi. Ho sempre amato Monaco come circuito perché è diverso da tutti gli altri. E’ un circuito che va oltre la semplice la pista, il prestigio che si respira è unico. Correre nel Principato è sempre bellissimo e ho sempre avuto un buon feeling con la pista. Il primo giorno in cui sono uscito dai box per le prove è stato bellissimo.
Durante la gara, poi, i primi giri sono stati un’emozione unica, un susseguirsi dei miei ricordi di quando ho corso in Formula 1. L’ultima volta che avevo corso a Monaco era il 1990, quindi erano passati tantissimi anni. Alla fine ho anche vinto e questa è stata la ciliegina sulla torta. Comunque i primi dieci erano tutti piloti molto forti, giovani e che correvano nei vari campionati WEC, GT e così via. Ho avuto modo di rivedere anche un sacco di amici venuti dall’Italia per l’occasione. E’ stata una vera e propria festa, che mi sono goduto fino alla fine. E poi vincere il Gran Premio a 52 anni non è da tutti. Non è mai troppo tardi.
Cosa ti ricordi dell’incidente in Portogallo nel 1990? Tra l’altro in quell’anno c’era la lotta tra Senna e Prost per il Mondiale. Pensi che l’incidente abbia influito sulla lotta per il titolo?
Ricordi non ne ho tantissimi, è stato un incidente normale di gara. Sono stato piuttosto sfortunato perché nella scocca avevo preso una grandissima botta al malleolo finendo per fratturarmelo, un male incredibile. Dopo l’incidente mi hanno subito ingessato il piede, ma non è stata la scelta giusta: nella notte la caviglia si è gonfiata e ho patito dei dolori incredibili. Una volta poi tornato a casa, hanno capito l’errore e mi hanno tagliato il gesso.
Se posso aver inciso o meno sull’esito del Mondiale? Non ne ho idea. Non credo che una singola gara possa incidere su un intero campionato. Non è mai stato detto più di tanto sulla vicenda. Sicuramente la gara è stata fermata per vari motivi, però alla fine se le gare sono fatte anche di questo. Oggi la situazione è diversa, ci sono tante nuovi dispositivi di sicurezza a tutela dei piloti.