Perché la Formula 1 deve correre il GP Arabia Saudita?

GP Arabia Saudita Formula 1

Credit: Ferrari.com

Dopo due stagioni in cui il paddock della Formula 1 ha dovuto fare i conti con le problematiche del Covid-19, il 2022 avrebbe potuto rappresentare l’anno di rilancio per la classe regina del Motorsport

Il Mondiale di Formula 1 è appena cominciato e il calendario, a causa della guerra tra Russia e Ucraina, ha già subito una modifica: la cancellazione della tappa di Sochi. Proprio nel bel mezzo del secondo fine settimana di gara dell’anno, il campionato ha rischiato di perdere anche il GP dell’Arabia Saudita.

Nel corso della prima sessione di prove libere del venerdì, un attacco missilistico ha colpito un deposito della raffineria Aramco, già danneggiato nei giorni scorsi, proprio a una ventina di chilometri dal tracciato. L’azione, rivendicata nell’immediato dai ribelli yemeniti, gli Houthi, ha fatto scoppiare un incendio che ha fatto alzare verso il cielo una sinistra nuvola nera.

Una cassa di risonanza naturale

Sebbene a una prima vista potrebbe sembrare di trovarci di fronte a una casualità, l’aver preso di mira proprio la città di Jeddah non è poi così accidentale. La Formula 1, come ogni evento sportivo internazionale, ha un enorme potere mediatico e può funzionare a cassa di risonanza. È indubbio che da quando, nel 2017, Liberty Media è diventata proprietaria e detentrice della massima serie automobilistica, l’appeal di questo sport, anche da parte degli sponsor senza tralasciare l’attenzione riversata da parte degli organi di stampa, è andato aumentando.

Nel corso della passata nottata ci sono stati diversi meeting tra piloti, squadre, Federazione Internazionale e vertici della Formula 1 per decidere se correre il GP dell’Arabia Saudita o fare le valigie e tornare a casa. In maniera, nemmeno troppo inaspettata, si è deciso di proseguire regolarmente il weekend, nonostante buona parte dei piloti, secondo alcune indiscrezioni la maggioranza, abbiano espresso il desiderio di non correre.

Formula 1 vittima consapevole dei petrodollari

La verità è che non si può non disputare il GP dell’Arabia Saudita. Aver annullato il secondo appuntamento della stagione avrebbe portato numerosi problemi legali al Circus intero.
È vero. In ogni contratto ci sarebbe una clausola che permetterebbe di cancellare la gara per “cause di forza maggiore“. Ma in questo caso il governo saudita, secondo cui tutto è sotto controllo, ha reso impossibile attivare la postilla perché a detta loro “l’obiettivo degli attentati non è il Gran Premio, ma i grandi poli industriali e petroliferi, fonti dell’economia saudita“. La questione è grave, ma non così seria. Almeno non abbastanza da rinunciare ai petrodollari.

La Formula 1 si è trovata ad avere le mani legate perché da almeno dieci anni è vittima della dittatura del denaro.
Non solo per i rapporti e i contratti stipulati coi promotori del GP dell’Arabia Saudita, ma anche per le partnership commerciali che legano il Circus alle grandi aziende saudite. Aramco ne è un esempio: la compagnia nazionale di idrocarburi è incatenata da un doppio filo alla Formula 1 stessa e all’Aston Martin, essendo sponsor di entrambe le realtà.
Non sono poche le scuderie e le aziende che militano attorno al paddock che, tra i propri azionisti vantano la presenza di fondi o direttamente personalità legate alla famiglia reale saudita.

Minacce e ritorsioni

E i piloti, che per tanti vengono visti come i principali protagonisti di un Gran Premio, e quindi anche coloro che potrebbero essere capaci di far saltare un evento, hanno, a loro volta, le mani legate.
Secondo alcune indiscrezioni trapelate questa mattina dalla BBC, i piloti sarebbero stati ricattati dalle autorità locali nel caso avessero pensato di boicottare il GP dell’Arabia Saudita. Le ritorsioni avrebbero portato a una serie di difficoltà nel momento in cui avessero deciso di lasciare il paese, potenzialmente arrivando a pensare alla chiusura dello spazio aereo.

Molte altre indiscrezioni sono circolate nel paddock. Come ad esempio l’avvertimento, sempre riservato ai piloti, di non parlare della guerra con lo Yemen e di altre questioni che metterebbero a disagio i sauditi.

La Formula 1 perde autorevolezza: ha senso correre il GP?

L’Arabia Saudita è un paese noto per la repressione dei diritti umani. E la situazione con lo Yemen, che è da sei anni nella morsa della guerra combattuta tra regime e ribelli Huthi, lo dimostra.
L’unica cosa certa è che questo rimarrà nella storia come l’ennesimo caso di ipocrisia che mina l’autorevolezza della Formula 1. Se da un lato la classe regina del Motorsport si prodiga per pubblicizzare temi di chiaro impegno politico, inclusivo ed ecologico; dall’altro si trova a correre in quegli stati dove la tutela dei diritti umani, per così dire, non eccelle.