Formula 1 | Quanto guadagna veramente un pilota di F1?

Vita da pilota di Formula 1: ti infili la tuta, allacci il casco, ti rintani nell’angusto abitacolo della tua monoposto, aspetti che ti accendano il motore, inserisci la prima e via, a girare come un forsennato alla caccia del tempone per dare paga a tutti nella gara della domenica!
Ehm… no, non è proprio così. Questo è solo una parte di tutto il lavoro che un pilota è tenuto a fare durante una stagione agonistica, perchè prima di tutto questo ciò che conta di più… sono i soldi.

Quando si raggiungono certi livelli – includiamo anche le categorie minori come la GP2 – non c’è da meravigliarsi se di fronte ad ingaggi importanti con stipendi a sei zeri ci si trova di fronte un contratto pieno di clausole da rispettare alla lettera.
Gerhard Berger, quell’austriaco che ha corso con la Ferrari, la McLaren e la Benetton ai tempi d’oro del Circus iridato, ci dà subito un assaggio di quello che andremo a parlare tra poco: “Quando ci si gioca il Mondiale oppure si gareggia al top, oltre a cifre elevate ci sono una miriade di dettagli da tenere in considerazione e per questo motivo sono necessari dei contratti molto precisi”.
Ai miei tempi era tutto il contrario: si guadagnava poco e ci si poteva permettere di gestire la cosa da soli; tentare una cosa del genere al giorno d’oggi sarebbe impossibile”.

Innanzitutto partiamo dall’ingaggio complessivo: lo stipendio annuale di un Vettel alla Ferrari o di un Alonso alla McLaren si aggira intorno ai 30-40 milioni di euro, il quale viene sostanzialmente diviso in due parti uguali.
La prima è quella che andrà a definire il ricavo di tutti i GP del Campionato, da intendere però spezzettata di appuntamento in appuntamento a seconda del regime fiscale applicato in ogni singola nazione.
Non è infatti conveniente dichiarare delle cifre del genere tutte in un colpo in un particolare paese, per cui si prende in considerazione solamente il premio in denaro della gara in questione a cui va applicata la relativa percentuale di tassazione.
Un esempio: se Sebastian Vettel ha appena corso il GP degli Stati Uniti ed ha percepito poco meno di 1 milione di euro lordi con un regime d’imposta del 20%, ecco che 200.000 euro andranno pagati in tasse mentre il restante sarà quello che il tedesco riuscirà a portare a casa.
Facendo la stessa cosa per ogni singolo Gran Premio della stagione, si andrà quindi a formare la prima metà di stipendio di un pilota di Formula 1: si parla di circa 710.000 euro a gara, cioè 200.000 euro al giorno considerando il solo lavoro del weekend.
Per i più precisini, girando per 10 ore in pista si otterrà la cifra di circa 20.000 euro all’ora… niente male eh?

L’altra metà dell’ingaggio è invece suddivisa fra i giorni di prove in circuito, quelli al simulatore, quelli in cui si dà la propria disponibilità agli sponsor insieme alle clausole per le spese di viaggio: per quest’ultime i top driver solitamente addebitano i trasporti direttamente alla scuderia per cui lavorano, mentre i piloti di metà classifica (tra cui Force India e Toro Rosso) tendenzialmente pagano questi trasferimenti tramite i soldi dei propri sponsor personali.

Merita un capitolo a parte l’approfondimento sulla rescissione del contratto: sia dalla parte del pilota che da quella del reparto corse vengono stabilite ad inizio stagione tutte le clausole inerenti ogni possibile rottura dell’ingaggio, nel caso in cui non si raggiungano i risultati previsti per mancanza di impegno oppure nell’eventualità di possibili comportamenti antisportivi che creino un danno di immagine alla scuderia.
La cosa certa è che ci sono delle penali da pagare se un team decida di far proprio un pilota di un altra squadra: quando la Ferrari arruolò Eddie Irvine dovette infatti pagare alla Jordan un sacco di soldi sull’unghia, come del resto poi fece anche con Raikkonen nel 2009 quando lo lasciò a piedi preferendogli Fernando Alonso al fianco di Felipe Massa.
Altro discorso quello delle interviste: i piloti non possono dire esattamente quello che vogliono in conferenza stampa, anzi! Ogni singola parola è soppesata precedentemente assieme al team, e se si sgarra sono previste delle sanzioni piuttosto salate: caso lampante quello di Sebastian Vettel ai tempi della Red Bull, multato di 100.000 euro per aver portato alla luce un problema all’impianto frenante che, in realtà, non esisteva.
Al contrario, chi guida la monoposto può porre dei limiti alle giornate dedicate per gli incontri con gli sponsor, in base ovviamente alla disponibilità di quest’ultimi.

Per quanto riguarda l’abbigliamento, tutto deve essere coordinato ancora una volta con la scuderia attraverso un’infinità di regole alle quali i piloti hanno ben poco margine di manovra: l’anno scorso, infatti, Alonso e Button riuscirono solo all’ultimo a convincere la McLaren ad indossare delle magliette con un motivo differente (e più elegante) rispetto a quello ufficiale scelto dal reparto corse britannico, il quale si mostrò inizialmente scettico nei confronti di una richiesta del genere.

Qualche parola sulla validità dei contratti: perchè siano regolari tutto deve essere vidimato presso la sede parigina della FIA e presso la FOM di Bernie Ecclestone, per cui i piani alti non si fanno sfuggire nulla su chi percepisce cosa e quanto.
Per quanto riguarda la loro registrazione, per motivi economici e fiscali la sede di stipulazione non è sempre quella ufficiale: la Ferrari, pur avendo la base operativa a Maranello, ha la sede legale a Lugano (Svizzera), mentre Fernando Alonso gestisce i suoi affari a Dubai, dove tra l’altro opera la sua società.
Ma questo, d’altronde, è normale per chi è nel giro delle corse di alto livello: quando si comincia a maneggiare certe cifre (parliamo di 1,6 miliardi di euro per tutto il Circus della Formula 1), è necessario trovare il modo per tutelarsi. Ad ogni costo.