vettel 2020

Credits: @sebvettelnews Twitter

Ci risiamo. Il clamoroso errore di Sebastian Vettel al sesto giro del Gran Premio d’Italia, mentre il tedesco affrontava la Variante Ascari, ha aggiunto un nuovo fascicolo a quello che ormai è diventato un caso. La carriera di Vettel alla Ferrari sembra arrivata a un bivio e forse a Maranello è già suonato il campanello d’allarme: nelle ultime due corse, a Spa e a Monza, Vettel è uscito con le ossa rotte dal confronto con il compagno di squadra. I numeri, in questo senso, sono impietosi: Charles ha fatto bottino pieno, raccogliendo 50 punti in due gare, Sebastian ha racimolato la miseria di 13 lunghezze, maturate con il quarto posto belga (oltre al giro veloce) a cui è seguita la 13esima posizione colta nel Gran Premio di casa della Ferrari.

Un vortice di errori

Che qualcosa si fosse incrinato, nei rapporti di forza in casa Ferrari, lo si era capito nelle qualifiche di sabato. Quando Vettel si era presentato carico come una molla, galvanizzato dal miglior tempo nell’ultima sessione di libere, salvo poi doversi misurare con l’inaspettata malizia messa in campo dal compagno. Perché Leclerc, nelle qualifiche monzesi, ha sfoderato un repertorio di astuzia, spregiudicatezza ed egocentrismo da far impallidire anche i piloti più titolati. Tra i due ferraristi, quella di sabato non va archiviata come una semplice incomprensione. Nel machiavellico attendismo di Leclerc, inchiodato dietro a Vettel quando avrebbe dovuto stargli davanti per “tirarlo” in vista del giro lanciato, va letta invece una buona dose di malizia per tutelare la pole arpionata nel primo tentativo, con la scia di Vettel. Charles si è furbescamente accodato al compagno per tutto il giro di lancio, per sopravanzarlo solo nel rettilineo che dalla Variante Ascari conduce alla Parabolica, mentre il countdown era arrivato inesorabilmente agli sgoccioli. Il primo calice amaro Sebastian Vettel l’ha ingurgitato lì. Davanti alle telecamere, nel post-qualifiche, il tedesco si è presentato abbacchiato, poco propenso a parlare, demolito nel morale dal primo torto subito dal compagno.

La domenica, l’escalation ha toccato il suo culmine con l’errore alla Variante Ascari. Un testacoda che ha terribilmente ricordato quelli collezionati durante l’ultimo anno e mezzo di Sebastian in rosso. Il tedesco ha “perso” la macchina in piena percorrenza del curvone di destra, palesando una mancanza di lucidità anche nel momento in cui si è rigettato in pista per continuare una gara ormai compromessa. Ha infatti deciso di ripartire mentre sopraggiungeva la Racing Point di Lance Stroll, che ha dovuto scartare sulla sinistra – finendo a sua volta sull’erba – per evitare un contatto dalle potenziali conseguenze ben più deleterie.

Un tedesco dal temperamento latino

Alla vigilia della stagione 2018 e all’indomani della sconfitta nel campionato precedente, Sergio Marchionne aveva fatto una disamina delle debolezze di Vettel: “È un tedesco dal temperamento spiccatamente latino. A volte è talmente emotivo da sembrare un meridionale, ma sono fiducioso che sappia convertire questa sua forte emotività nella direzione giusta, trasformandola in maggiore freddezza per il 2018″. L’analisi di Marchionne su Vettel non poteva essere più rappresentativa ma, letto oggi, quell’augurio finale sembra aver generato una maledizione. Perché proprio lo scorso anno Vettel ha manifestato una fragilità da mettere preoccupazione. Proprio a Monza, alla vigilia di una gara delicatissima per le sue chance iridate – aveva 17 punti da recuperare a Hamilton, in un Mondiale fino ad allora equilibrato – il tedesco era stato demolito già il giorno prima. Dopo che Kimi Raikkonen gli “succhiò” la scia in qualifica, prendendosi la pole davanti al pubblico monzese, Vettel abbozzò un sorriso, ma a telecamere spente pronunciò una frase che equivaleva a una resa: “Adesso so che devo combattere contro tre macchine”. Si riferiva alle due Mercedes e allo stesso Raikkonen, che in quel weekend aveva ricevuto la notizia del licenziamento da Maranello e il sabato aveva deciso di “infischiarsene” di ogni strategia a favore di Vettel, andando a prendersi la pole in autonomia. Fu il crocevia dello scorso Mondiale: il giorno dopo il finlandese complicò la vita a Seb nell’ingresso alla Prima Variante e 500 metri dopo lo stesso Vettel finì in crisi quando Hamilton lo affiancò alla Variante della Roggia, girandosi e ripartendo dal fondo del gruppo. Il vortice di crisi in cui era precipitato il tedesco era solo all’inizio. Fu nei mesi di ottobre e novembre che Vettel scrisse il capitolo più nero del suo Mondiale 2018, con i testacoda di Suzuka e Austin e la prestazione scialba del Brasile, dove annaspò concludendo sesto. I 17 punti da recuperare a Hamilton dopo Spa, alla fine del Mondiale, divennero 88. Un abisso.

Tutto e subito

Se analizziamo la carriera di Vettel, emerge come questa si sia sviluppata nel segno della precocità. Fin dal suo ingresso in Formula 1 con la BMW Sauber, Sebastian ha avuto tutto, e forse è per questo che ancora adesso qualcuno tende ad affibbiargli l’etichetta del pilota viziato. Nel 2006, impressionò il mondo dell’automobilismo siglando tempi da urlo nelle prime uscite con la Sauber. Un anno dopo, debuttò a Indianapolis con la scuderia elvetica, da cui fu strappato per volere di Helmut Marko, che garantì all’allora 20enne tedesco un contratto da titolare con cui disputare la seconda metà della stagione 2007, al posto di Scott Speed. Nel 2008, Sebastian affrontò un anno intero di apprendistato, nel quale colse la sua prima affermazione, proprio a Monza sotto il diluvio. Già nel 2009 si laureò vicecampione del mondo con la Red Bull, mentre nel 2010, a 23 anni, conquistò il primo titolo Mondiale. Fino al 2013, non sbagliò nulla. A 26 anni, Vettel vantava già quattro Mondiali di fila. A quell’età, miti come Alain Prost e Ayrton Senna dovevano ancora vincere il loro primo titolo. Come dire che Vettel ha avuto tutto e subito ed è sembrato poi esaurire la naturale curva di miglioramento, una volta uscito dal mondo Red Bull (a 27 anni) e catapultato nell’universo Ferrari, mentre altri piloti (come lo stesso Hamilton) hanno speso i primi anni di carriera sgomitando tra le difficoltà, emergendo poi sulla lunga distanza. Ai tempi della Red Bull, Sebastian ha sempre incarnato la freddezza e la lucidità tipiche di un campione. Doti che adesso sembra avere smarrito.

Cosa è rimasto di quel pilota che, a Interlagos nel 2012, sotto il diluvio, nella gara decisiva per il titolo riuscì a recuperare perentoriamente dopo il testacoda causatogli da Bruno Senna, conquistando il suo terzo iride? Fu lo stesso Vettel, poi, che a Singapore nel 2013 rifilava due secondi al giro al compagno Webber e alla Ferrari di un costernato Alonso. Ed era sempre Seb che, nello stesso anno, inanellava 9 successi consecutivi, portando il computo totale di quella stagione alla cifra record di 13. Come il suo idolo Michael Schumacher.

Gerarchie da rivedere

Vettel ha bisogno di essere coccolato, diceva di lui Maurizio Arrivabene. Quando il tedesco ha potuto tenere sotto controllo il compagno di squadra, ha saputo gestire la situazione alla perfezione. Ma, quando subentrano gli imprevisti, è come se la sua testa andasse in tilt. Il fantasma del 2014, quando Ricciardo, allora debuttante in Red Bull, lo demolì su ogni fronte, sembra aleggiare minaccioso su questa stagione, come in tanti temevano alla vigilia. I rapporti di forza all’interno della Ferrari hanno subito uno scossone dopo il back-to-back di Spa e Monza. La classifica si è invertita: non c’è più Seb davanti, ma Charles. Il monegeasco vanta 182 punti, 13 in più rispetto a Vettel. Ma Leclerc gli è davanti su ogni fronte: per numero di podi – 7 a 6 -, per numero di vittorie – 2 a 0 – e per numero di pole: 4 per il baby monegasco, una sola per Sebastian, ottenuta alla vigilia del controverso GP del Canada. Va detto però che almeno in altre due occasioni Leclerc è andato vicinissimo al trionfo: in Bahrain, dove gli tarpò le ali la power unit, e in Austria.

Un futuro tutto da scrivere

Vettel sta vestendo i panni della seconda guida, un’onta che per un campione come lui appare inaccettabile. In Belgio, è stato Seb a essere sacrificato sul piano della strategia per agevolare la fuga di Leclerc, ostacolando la Mercedes di Hamilton. Il favore di Seb non è stato ricambiato da Charles la settimana dopo a Monza, lasciando Vettel a sfogarsi via radio con un sarcastico “Grazie, grazie”. La posizione di Vettel all’interno del team appare irrimediabilmente indebolita, specie dopo che Mattia Binotto ha perdonato Leclerc per la furbata di sabato. Inoltre, la direzione tecnica presa dalla Ferrari non si addice allo stile di guida di Vettel. Leclerc ha instaurato un feeling ottimale con la SF90, che ha un retrotreno “ballerino” che invece fa tribolare Sebastian. Fonti interne al paddock parlano poi di una Ferrari molto più incline ad ascoltare le esigenze di Leclerc nell’impostare la vettura del 2020, piuttosto che quelle di Sebastian.

Nel 2014, Vettel visse una situazione simile alla Red Bull con Ricciardo: l’introduzione delle power unit ibride, unita alla tecnologia del brake-by-wire, che aveva scompaginato i parametri in fase di frenata, avevano neutralizzato i suoi punti di forza nell’epoca dei V8 aspirati. Ma cinque anni fa c’era la via d’uscita: per una serie di contingenze che in Ferrari portarono allo spodestamento di Luca di Montezemolo e all’addio di Fernando Alonso, Vettel trovò posto proprio a Maranello, con la benedizione del nuovo tandem Marchionne-Arrivabene, instauratosi al vertice.

Quest’anno il quadro è decisamente più intricato. La Ferrari è sempre più nelle mani di Leclerc e per Vettel il rischio di recitare un ruolo di seconda guida nel 2020 è realistico. Mattia Binotto ha confermato a più riprese che la coppia Ferrari rimarrà immutata anche l’anno prossimo, ma a meno di un nuovo accanimento terapeutico per recuperare Vettel dalle sabbie mobili, non si vede come il tedesco possa risollevarsi dal baratro. Ma forse un nuovo accanimento terapeutico su Vettel, proprio ora che è esploso il fenomeno Leclerc, sarebbe controproducente.

Come cambia la vita. Nel 2008, a Monza esplose la stella di Vettel. Undici anni dopo, la stessa pista brianzola, che Seb adora talmente tanto da averne impresso il nome sul sottocasco che indossava quando vinse il suo primo titolo, lo ha posto di fronte al bivio più importante della carriera.