La Formula 1 non ha paura di quel terrorismo che prova ad uccidere lo sport

©Twitter

Sono passate nemmeno quarantotto ore dai drammatici attentati terroristici che hanno messo in ginocchio la città di Bruxelles, modello di convivenza tra diverse etnie. Dopo i colpi mirati di Parigi e di Istanbul il terrorismo ha colpito seminando dolore e distruzione nel cuore dell’Europa, nella sua capitale politica, dove si riuniscono i rappresentanti di ogni Nazione del vecchio continente per deciderne le sorti. Guerra è la parola con la quale dobbiamo convivere che però nel 2016 ha assunto un significato in tutto e per tutto differente rispetto a quanto abbiamo studiato a scuola. La guerra è diversa, non si combatte più sui cambi di battaglia: è più cruenta e gli atti di violenza colpiscono nella nostra quotidianità. I fanatismi sono nei nostri aeroporti, si sono trasferiti sui mezzi pubblici, negli stadi con lo sport, visto come qualcosa di profano, che diventa un obiettivo primario del terrorismo.

Anche se può sembrare banale proprio lo sport è il sorvegliato speciale in tutta questa situazione: sotto questo punto di vista il 2016 sarà un anno davvero importante con ben tre eventi sportivi di rilevanza internazionale che aumenteranno l’attenzione mediatica di tutti. C’è paura per gli Europei di calcio in programma a giugno in Francia, per la Copa America alla quale potremmo assistere negli Stati Uniti e per i Giochi Olimpici previsti ad agosto, a Rio de Janeiro. Il timore, concreto, è che uno di questi eventi possa attirare le mire di quelle stesse persone che hanno iniziato a seminare il terrore nel cuore dell’Europa.

Non si può nascondere che anche la Formula 1, nel recente passato, si sia rivelata essere uno degli obiettivi sensibili del terrorismo internazionale. Basti pensare che in occasione del Gran Premio di Abu Dhabi 2014, ritenuta la meta più sicura negli Emirati Arabi, è stato sventato un attacco il cui piano iniziale era di far saltare in aria una bomba il 21 novembre, il venerdì delle libere della gara. Eppure quella non è stata l’unica minaccia rivolta al Circus. Nel 2013 due sospettate sono state fermate all’ingresso del tracciato di Sakhir mentre le forze di polizia hanno sventato nei giorni precedenti al GP diversi atti di sabotaggio e attentati dinamitardi. Proprio in questi giorni il boss della Formula 1, Bernie Ecclestone, ha rilasciato un’intervista a Pino Allievi della Gazzetta dello Sport e inevitabilmente non ha potuto esimersi dal parlare dei recenti fatti di cronaca che hanno toccato il Belgio. La Formula 1 non si fermerà davanti al rischio di attentati, secondo Mister E. non ci sarebbero rischi calcolati tali da alterare il programma. Una risposta forte in un momento drammatico come questo.

Gli attentati di Bruxelles, proprio come quelli di Parigi, colpiscono chi lo sport lo ama, chi ama la musica, il teatro, chi va a lavorare o decide di prendere al volo un aereo per trascorrere qualche giorno senza pensieri. Chi ha passione che pulsa, viva, nel cuore. In un certo senso mi viene da sorridere perché se ci mettessimo tutti ad un tavolo ci troveremo a commentare il fatto che chi ha creato lo sport ha creato anche il terrorismo. E proprio i valori dello sport potrebbero rivelarsi l’arma più adatta con la quale combattere il terrorismo, l’antitesi naturale di un atto violento portato da un sacrificio, di se stessi, in nome di ideali religiosi inesistenti. Non c’è religione che predichi violenza e il terrore. Un solo segno di cedimento, di rinuncia alla normalità significherebbe arrendersi al terrore, una condizione che nessuno, oggi come oggi, può permettersi.