Kimi Raikkonen, tutt’altro che “bwoah”
Ad Abu Dhabi Kimi Raikkonen sta per scrivere l’ultimo capitolo di una carriera straordinaria, è arrivato quindi il momento di ripercorrere brevemente i passi che lo hanno condotto fino qui
“Leave me alone, I know what I’m doing”. Le parole urlate da Kimi Raikkonen al muretto della Lotus ad Abu Dhabi nel 2012 diventate poi un cult. Per il suo ultimo GP l’Alfa Romeo ha voluto rivangare il passato per rendere omaggio al finlandese. “Dear Kimi, we will leave you alone now“, questo si legge sulla livrea della sua C41. Ma Raikkonen non è solo uno dei personaggi più emblematici della Formula 1, è ed è stato molto di più.
Quando si pensa a Kimi tutti ricordano i gelati divorati nel paddock, l’uscita di scena in yatch a Monaco nel 2006, la “disinvoltura” al galà di fine anno del 2018 e i suoi “bwoah” durante le interviste. Elementi marginali di un pilota straordinario laureatosi campione del mondo nel 2007 con la Ferrari. Perché Iceman è questo: l’uomo designato da Michael Schumacher per succedergli al volante della Rossa, l’ultimo capace di portarla sul tetto del mondo.
The end of an era is nearing… 🥺
To celebrate the amazing career of #Kimi7 and his time with us, today is #KimiDay on the @ScuderiaFerrari channels ❤️#essereFerrari 🔴 #KiitosKimi pic.twitter.com/YEIbH0GP1M
— Scuderia Ferrari (@ScuderiaFerrari) December 7, 2021
UNA CARRIERA PIÙ CHE ORDINARIA
Da quei test disputati al Mugello sotto l’occhio vigile di Peter Sauber di acqua sotto ai ponti ne è passata. Il Kaiser lì per altri motivi rimase impressionato, come pure quando debuttò in Formula 1 nel 2001. Da lì cinque anni passati in McLaren lottando per il titolo, come nel 2003 (sfiorando l’impresa nell’epoca d’oro di quelli di Maranello) e nel 2005.
Nel 2007 l’arrivo in Ferrari. Una stagione pazza arricchita da una spy story che portò alla squalifica della squadra di Woking, e che si concluse con il trionfo di Interlagos davanti a Lewis Hamilton e Fernando Alonso per un solo punto. Tra le annate più belle del finlandese c’è anche da ricordare proprio quella del 2012, che segnò il suo ritorno nel Circus dopo due anni dedicati al rally.
La carriera di Raikkonen è stata segnata da punti altissimi, e da altri meno. Come la stagione passata al fianco di Fernando Alonso, in cui lo spagnolo lo ha sistematicamente battuto. L’ultimo grande acuto (a cinque anni dal precedente) è quello di Austin nel 2018, una corsa sublime vinta davanti a un Max Verstappen e un Lewis Hamilton in rimonta che ha entusiasmato ogni appassionato.
IL SALUTO DI UNA GENERAZIONE, O QUASI
E ora se non fosse per la ricomparsa di Fernando Alonso, il suo addio sarebbe l’addio di un’intera generazione. Quella che ha iniziato a correre all’inizio del nuovo millennio e che ha segnato un momento nella storia di questo sport. Per un “non vedo l’ora che sia finita” c’è sempre un “sono contento di essere arrivato fino a qui e di aver vinto il mondiale”. D’altronde Kimi è lo stesso che, chiuso il secondo capitolo in Ferrari, decise di spostarsi in Alfa Romeo perché gli andava ancora di correre.
Il livello raggiunto da Raikkonen è simbolicamente rappresentato pure dalla volontà di Antonio Giovinazzi di dedicargli il casco. Un casco che riprende in parte quello utilizzato dal finlandese nel 2007 recitante un “thanks Kimi”. Un ringraziamento che il pugliese fa anche un po’ da parte di tutti noi giacché “è arrivato il momento di celebrare una leggenda e di ringraziare un amico vero”.