Formula 1 | Niki Lauda ci lascia, dopo aver sfidato il destino
Credevamo che questo momento per lui non sarebbe mai arrivato ed ancora increduli, speriamo di risvegliarci da ciò che ci sembra soltanto un brutto sogno. Niki Lauda è morto, lo scrivo di getto, tutto d’un fiato, forse per provare a crederci perché ancora mi sembra impossibile, per convincermi che disgraziatamente invece è accaduto davvero. La morte stavolta ha avuto la meglio su colui che quasi 43 anni fa l’ha aggirata, combattendo quando lo davano già per spacciato, infatti mentre i medici consigliavano alla prima moglie Marlene di chiamare un prete perché non sapevano se avrebbe superato la notte, lui aveva deciso che non era arrivato ancora il momento.
Infatti soltanto tre giorni dopo era pienamente cosciente e respirava autonomamente, nonostante i dolori atroci, ma la voglia di tornare a vivere e tornare a correre sono state più forte di tutto. Niki Lauda l’1 Agosto del 1976 si è reso protagonista di uno degli episodi più drammatici della storia della Formula 1 con l’incidente al Nürburgring. Dopo aver conquistato il titolo con la Ferrari l’anno precedente era il favorito per vincerlo anche l’anno seguente ed infatti dopo sei gare stava dominando il campionato con cinque vittorie e ben 61 punti in classifica, 35 in più rispetto all’eterno rivale James Hunt della McLaren.
La settima tappa del mondiale era quella del Nürburgring: 23 km pericolosissimi immersi nella foresta tedesca. Quel giorno un manto di nuvole scure copriva il circuito umido, anche se in alcuni tratti già asciutto. Alle 14 si spensero i semafori e Niki Lauda come James Hunt, Jochen Mass e molti altri tenta l’azzardo decidendo di tenere le slick, cioè la mescola da bagnato. Al via l’altra Ferrari, quella di Clay Regazzoni che si prese la testa della corsa, mentre l’austriaco partito male si era ritrovato ottavo. Durante il secondo giro la sua Ferrari 312 T2/76 perde aderenza in prossimità della curva Bergwerk, per motivi che non sono stati mai chiariti.
Il retrotreno della monoposto sfiorò il cordolo, Niki Lauda perciò non poté fare altro che andare di controsterzo andando così a sbattere contro la roccia dalla parte opposta della pista, l’impatto fu così violento che il casco dell’austriaco volò via lasciando la testa protetta soltanto dal passamontagna. La monoposto poi rimbalzò in pista e girò su se stessa varie volte, inoltre lo scontro con la roccia lacerò la fiancata lasciando il serbatoio della benzina pericolosamente esposto. La Ferrari oramai distrutta prese fuoco nel bel mezzo della pista: prima sopraggiunse Edwards che riuscì ad evitarla, ma non andò altrettanto bene a Lunger che la prese in pieno.
Gli altri piloti riuscirono a fermarsi, corsero verso la Ferrari da cui si vedevano solo due braccia che si dimenavano in aria in cerca di aiuto. Niki Lauda era intrappolato in una palla rovente: lui, il fuoco e la morte che gli tendeva le sue mani. Ertl riuscì a procurarsi un estintore, Merzario si gettò tra le fiamme facendo scattare il meccanismo delle cinture di sicurezza e alla fine fu Lunger ad afferrare il corpo sanguinante del pilota austriaco portandolo fuori. Poche ore dopo la situazione era davvero drastica, ma riuscì a superarla e con grande stupore 42 giorni dopo tornò in pista e con il volto sfigurato, cicatrici che sanguinavano a contatto con il casco ottenne il quarto posto a Monza, diventando così di fatto leggenda.
Ma sin da subito si era capito che Niki Lauda fosse diverso dagli altri, perché mentre negli anni 70′ dominava il Rock&Roll con conseguente sregolatezza, ribellione e vita al limite, che aveva contagiato non solo la società ma anche la Formula 1, infatti i piloti erano delle vere e proprie Rockstar, Niki Lauda era l’eccezione! Arrivato nel Circus grazie a un prestito, avverso alla mondanità, dedito solo al raggiungimento degli obiettivi. Il suo stile calcolatore era in netta contrapposizione con quel mondo disordinato, per questo era odiato da gran parte dei suoi colleghi, ma allo stesso tempo temuto, perché lo ritenevano imbattibile.
Ma oltre a parlarvi di quell’occasione in cui sfidò il destino, voglio concludere questo articolo riportandovi le commoventi parole con cui l’ha omaggiato un mio amico di nome Leonardo, un grande appassionato di Formula 1, che è riuscito a spiegare esattamente chi era e cosa rappresentasse Niki Lauda non solo per il Circus ma anche per gli appassionati, da quelli che hanno vissuto durante il periodo in cui gareggiava a quelli più giovani come noi che non hanno avuto questa fortuna, partendo da una sua famosa citazione: “Preferisco avere il mio piede destro che un bel viso”.
“In questa frase è riassunto ciò che rappresentava Niki Lauda. I Campioni sono una specie rara: sono quelli che, una volta fissato l’obiettivo, spenderebbero anche la loro vita pur di farcela. Ma i Campioni sono uomini, non marziani ed è per questo che sono amati. Non li riconosci dal numero di trofei raccolti nella loro vita ma dall’affetto che generano nella gente comune, che trova in loro un esempio da emulare per tenacia, forza d’animo, dedizione al lavoro, determinazione. Rimettersi il casco con ancora in volto le piaghe sanguinanti, conseguenza dell’incendio che avvolse la sua macchina in quel dannato Gran Premio di Germania del ’76, e ricominciare a spingere sull’acceleratore più forte di prima non è da pazzi”.
“Sarebbe da pazzi, piuttosto, non provarci. Non ho avuto la fortuna di nascere in tempo per vederlo gareggiare ma ho potuto recuperare le sue gesta, puro concentrato di passione, caparbietà, spirito combattivo e di sacrificio, pazienza e forza di non arrendersi mai, soprattutto nei momenti più complicati, quando anche respirare è difficile o quando nessuno crede in te. Ha ispirato tante persone che lo hanno incontrato, anche indirettamente come me, nella sua vita e che lo hanno visto gareggiare nei circuiti. Da oggi appartiene alla Storia (me lo immagino adesso col suo amico-rivale James Hunt ricordare i tanti duelli in pista) ma la sua stella rimarrà presente e viva nel cuore di tantissimi che, appassionati o non di Formula 1, gli riconoscono un carattere e un cuore unici, da combattente vero“.