Formula 1 | GP Brasile 2016: un’analisi del circuito un po’… particolare
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Si chiama Autodromo Jose Carlos Pace ma è meglio conosciuto con il nome di Interlagos, derivante dal quartiere di quella San Paolo in cui è ospitato.
Siamo in Brasile, la terra d’origine di uno tra i più forti piloti che siano mai esistiti ma… di questo ne parlerò più tardi.
Il circuito brasiliano fu inaugurato nel lontano 1940 ed originariamente era lungo quasi 8 km: comprendeva tre estese sezioni e nove curve particolarmente veloci che permettevano alle monoposto di mantenere la massima velocità per quasi venti secondi.
Venne giudicato troppo pericoloso per cui alla fine degli anni ’70 iniziarono dei costosi lavori di riprogettazione che terminarono nel 1990 quando fu riaperto al pubblico ed alle corse: molte svolte vennero rese più lente e la lunghezza complessiva venne ridotta a 4.397 metri.
Oggi ne misura pochi di meno (4.309 metri) per via del rifacimento dell’asfalto operato nel 2007 assieme all’ammodernamento dell’entrata nella pit-lane.
La sua caratteristica principale? Il fatto che non è assolutamente piatto ma, al contrario, segue l’andamento delle colline sulle quali è stato costruito: diversi settori sono pieni di “ups and downs”, come per esempio la lunga curva a sinistra che forma quello che generalmente è visto come il rettilineo di arrivo.
Questo, nel corso degli anni, ha creato non pochi problemi alle vetture, perchè si richiede tutt’oggi sempre più potenza: inoltre in tutti i vari sali e scendi vengono generate abbondanti scintille per il contatto del fondale con l’asfalto.
Tuttavia anche i piloti sono sottoposti ad un notevole stress, per via del senso anti-orario del tracciato: a tal proposito le forze centrifughe create dalle svolte a sinistra spostano il loro collo nella direzione opposta, esattamente al contrario rispetto al resto delle piste del Mondiale.
L’Autodromo Jose Carlos Pace di Interlagos
SETTORE 1: Si arriva sul rettilineo d’arrivo a pieni giri e subito si devono affrontare le “esse Senna”, un sinistra-destra molto impegnativo in cui è difficile l’inserimento ma altrettanto complicato è mantenere la trazione nel cambio di direzione.
Subito dopo si passa alla Curva do Sol, tutta a sinistra che immette nella Reta Oposta, nome utilizzato per indicare il rettilineo parallelo a quello che era previsto nella vecchia configurazione pre-1990.
SETTORE 2: Al cartello dei 100 metri forte staccata per immettersi nella doppia curva 4-5 chiamata Descida do Lago, difficile soprattutto in ingresso per via del pattinamento delle gomme posteriori in seguito alla frenata precedente.
Dentro le marce fino alla quinta nel piccolo rettifilo successivo che ci porta in una triplice successione di svolte a destra, tutte in pendenza positiva: qua inizia il tratto più tecnico di tutto il circuito, da affrontare praticamente in apnea.
Ci si inserisce nella Ferradura in quarta, poi si lascia scorrere verso la Curva do Laranjinha per poi frenare verso il tornantino successivo passando in seconda.
Cambio di direzione in discesa verso il Pinheirinho dove in uscita si punta la terza per andare dritti verso la curva 10, il Bico de Pato.
La traiettoria ideale è esterni in entrata-cordolo interno-esterni in uscita per immettersi al meglio nel imminente curvone a sinistra chiamato Mergulho: dalla seconda ci si porta in terza parzializzando l’acceleratore all’apice interno per poi lasciar sfogare tutti i cavalli in quarta marcia, pronti per il terzo ed ultimo settore.
SETTORE 3: Si arriva ad una curva secca: è la 12, la Juncao dove è necessario scalare di una se non di due marce, a seconda di come si imposta la frenata.
L’uscita introduce al lunghissimo curvone a sinistra che ci porta fino al rettilineo d’arrivo, passando per la 14 denominata Subida dos Boxes.
Fino alla 15, la Arquibancadas, bisogna stare tutti esterni, poi – in prossimità dell’entrata dei box – ci si porta tutto all’interno sfiorando il muretto per lanciarsi verso la bandiera a scacchi, tra le mille scintille sprigionate dal fondale della monoposto che raschia violentemente l’asfalto.
Bene, l’analisi del Brasile è terminata, ma vi ho promesso una sorpresa!
Lo ammetto, questo giro di pista l’avrei dovuto fare con una vettura dei giorni nostri ma l’occasione era talmente allettante che non ho resistito: come potete vedere nel video, ho utilizzato la McLaren MP4/6 di “Magic”, al quale voglio dedicare l’ultima parte di questo articolo.
Ayrton Senna è stato un grandissimo Campione, ma quello che ha fatto in quel 24 marzo 1991 è stato qualcosa di… mistico, sovrannaturale.
Partito in pole grazie ad un stratosferico 1’16”392, la sua gara prende vita dopo la prima sosta ai box: mentre Mansell, ai comandi di una non troppo affidabile Williams, finisce per fermarsi troppo a lungo al 26esimo giro, la McLaren numero #1 comincia a manifestare i primi problemi al cambio.
Inizialmente perde per strada solo la quarta marcia, poi anche la terza e la quinta.
Così facendo il Leone di Inghilterra recupera terreno ma brucia troppo velocemente le gomme, per cui torna ai box anche alla 50esima tornata: torna in pista, tenta di recuperare il mezzo minuto di svantaggio ma poi la trasmissione della sua FW14 lo tradisce portandolo in testacoda.
Ayrton è ancora davanti, mentre dietro Riccardo Patrese si mette in testa una rimonta disperata: nel frattempo cominciano a scendere le prime gocce d’acqua e… il cambio della MP4/6 rimane bloccato in sesta piena.
Rimangono solo sei giri, per chiunque sarebbe impossibile continuare in quelle condizioni, ma non per “Magic”: alla fine il brasiliano riuscirà a vincere con appena tre secondi di margine sull’italiano, proprio sul circuito di casa dove è acclamato da tutti i suoi tifosi.
Ma lo sforzo che ha dovuto sopportare è stato devastante: le sue urla liberatorie diffuse in diretta da Rete Globo appartengono ad un uomo che è andato oltre i propri limiti pur di realizzare il suo sogno, al punto da avere braccia e spalle talmente contratte da non riuscire nemmeno a tornare ai box.
Senna si ferma a raccogliere la sua bandiera, viene scortato dai commissari che tentano di far ripartire la monoposto britannica ma niente da fare: alla fine arriverà l’ambulanza a prelevarlo e riportarlo giusto in tempo per la festa finale sul podio.
La fatica si fa ancora sentire: Ayrton sventola a fatica il drappo della propria nazione e quando gli viene consegnata la coppa del primo classificato… trova un’ ultima stilla di energia per alzarla in onore di tutti i suoi tifosi accorsi a festeggiarlo.
Le sue parole nell’intervista post-gara sono addirittura toccanti: “Ho avuto problemi al cambio fin da metà gara ed alla fine sono rimasto solo con la sesta marcia: negli ultimi sei giri ho dovuto costantemente rallentare da 300 a 70 km/h nei tornanti senza alcun freno motore che, al contrario, continuava a spingere”.
“Non ho mai sofferto così tanto: in molti gran premi mi sono trovato in situazioni difficili ma oggi è stato grazie a Dio che ho trovato dentro di me la forza per riuscire a vincere; in altre circostanze mi sarei controllato di più, ma ad Interlagos con tutta quella gente venuta solo per me… Dovevo vincere!”.
“La ricorderò come una corsa difficilissima, assieme alla mia prima vittoria in Portogallo nel 1985 ed il primo Mondiale del 1988: ho urlato a Dio e gli ho chiesto un trionfo che meritavo, per cui dedico a Lui questo successo. Dopo l’arrivo ero stravolto, non sapevo se ridere o piangere”.