VIDEO Formula 1 | GP Messico 2016: analisi del circuito
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Eccoci a Città del Messico, sull’Autodromo Hermanos Rodriguez!
Un circuito che è rientrato nel calendario del circus della Formula 1 solamente l’anno scorso grazie alla riprogettazione da parte di quell’Hermann Tilke che ha voluto donare ai messicani una pista più appetibile in termini mediatici ma anche più sicura per tutti.
La prima edizione si corse nel lontano 1963 e verrà ricordata per il “Grande Slam” di Jim Clark che riuscì a vincere praticamente tutto: pole position, giro veloce e gara dominata dal primo all’ultimo giro entrata nella Hall of Fame per la sua durata di 2 ore, 9 minuti e 52 secondi.
L’ultimo GP prima della lunga pausa dovuta a prolungati lavori di ammodernamento è stata vinto da Nigel Mansell ai comandi della Williams-Renault FW14B, mentre l’anno scorso è stato il tedesco Nico Rosberg a salire sul gradino più alto del podio.
Qua la Honda ha sempre ottenuto ottimi risultati grazie ai trionfi dell’americano Richie Ginter nel 1965 seguito dall’aussie Denny Hulme nel 1969 per poi arrivare al binomio Prost-Senna dominatori nelle annate 1988 e 1989.
Quale migliore occasione per scendere in pista al volante della MP4 del team britannico?
Ma attenzione: a metà video nel settore delle “Esse” c’è una sorpresa che i nostalgici non possono lasciarsi scappare…
Il primo settore del circuito del Messico è tutto incentrato sul lungo rettilineo di 1.2 km dove già in passato i motori turbo toccavano velocità prossime ai 330 km/h.
Al cartello dei 150 metri bisogna però attaccarsi prontamente ai freni, scalare quattro marce ed inserire la monoposto in una doppia curva destra-sinistra-destra: dopo la prima è bene allargare leggermente la traiettoria per inserirsi al meglio nella seconda e poi lanciarsi verso l’uscita della terza con già il gas completamente aperto, pronti per il prossimo piccolo rettifilo che ci porterà nel settore successivo.
Non si fa nemmeno in tempo a mettere l’ottava marcia e raggiungere i 290 km/h che è già ora di frenare di nuovo: questo tratto di pista è molto lento e comprende delle curve particolarmente secche da affrontare in seconda o al massimo in terza marcia.
Sono svolte a 90° in cui è facile far slittare le gomme in uscita di curva e perdere aderenza, quindi bisogna parzializzare bene l’acceleratore per portarsi al rampino della curva #6 all’incirca ai 130 orari e tenere una traiettoria che ci permetta di poter aprire in anticipo.
A questo punto tenetevi pronti perchè ci aspetta il famoso settore delle “esse”.
Dalla curva #7 alla #11 andremo ad affrontare una lunga successione di “esse”: ci si inserisce nella prima in quinta marcia, dopodichè ci si tiene molto stretti al cordolo e si prosegue in sesta piena.
Cambio di direzione verso sinistra, ci troviamo a circa 220 km/h e qua dobbiamo ritardare l’ingresso della #10 per poi uscire lanciati dalla #11 ad oltre 250 orari.
L’ultima svolta è abbastanza secca da affrontare in modo da non perdere velocità per il settore finale, quello dello Stadio e della “Peraltada”.
Si arriva alla #12 appena si toccano i 300 km/h quando al cartello dei 100 metri forte staccata, via quattro marce e dentro decisi nella svolta a destra.
Ci prepariamo per il rampino successivo, da affrontare in seconda a bassa velocità: ma subito è il momento di mettere la terza prima dell’imminente cambio di direzione posto al centro di un circondario tutto composto da tribune.
Siamo sotto gli occhi di tutti ma ci aspetta l’ultima fatica: la Peraltada.
Oggi non si chiama più così ma è dedicata al “leone di Inghilterra”, quel Nigel Mansell Campione del Mondo nel 1992: era una curva molto simile alla Parabolica di Monza, con la differenza che qua in passato non esistevano le vie di fuga.
Un tratto altamente pericoloso in virtù delle alte velocità che si potevano raggiungere nonostante l’altitudine del circuito posta a 2240 metri, che in qualche modo creava qualche problema sia ai propulsori che agli stessi piloti a causa dell’aria rarefatta.
Oggi è stata modificata con il settore dello Stadio, ma resta pur sempre una curva in cui il minimo errore si paga a caro prezzo.