‘Suite 200, l’ultima notte di Ayrton Senna’. Il nuovo libro di Giorgio Terruzzi

Il suo volto compare ovunque. Compleanno numero 54. Compleanno di un uomo scomparso quando di anni ne aveva 34. Appena compiuti. Imola, 1 maggio 1994. Con Ayrton Senna continuiamo a viaggiare, dunque, a correre con lui. Una impresa più decifrabile per chi ha i gesti, i tratti, le curve di Senna in memoria; un po’ più sorprendente per chi ha meno anni e magari di questo ragazzo brasiliano trasportato da una intensità strepitosa ha soltanto sentito parlare oppure visto dentro you tube, uno schermo televisivo, una fotografia. La ragione sta, forse, in una modalità che la morte, drammatica e inattesa, ha reso immortale. Ciò che collocò Senna in una posizione anomala, anche rispetto al panorama degli eroi sportivi.

Basta un attimo, una immagine fugace, per ripristinare un sapore, la sensazione di incontrare o ritrovare qualcosa di prezioso. Intensità certo, abbinata alla ferocia che gli servì per combattere, per affinare una dedizione, per vincere tre titoli mondiali, per ottenere 41 vittorie e 65 pole position, per imbastire un ritmo agonistico fuori media, fuori portata. Ma non è solo questo. Sono i tratti di una umanità davvero speciale che dettarono e dettano una attrazione affascinante. Ciò che accadde a me, come giornalista, ciò che accadde a molte persone che seguivano la Formula 1 allora, può accadere di nuovo, oggi. Il che costituisce per qualche verso una sorpresa peraltro decifrabile. Nei mesi scorsi ho scritto un libro su Senna. Il titolo, Suite 200, l’ultima notte di Ayrton è esplicito. Conoscendo il luogo in cui Senna trascorse la sua ultima notte, all’Hotel Castello di Castel San Pietro Terme, decisi di provare a rintracciare quella scia per qualche verso luminosissima, per altri oscura.

Chiesi quella stessa stanza, in quella stanza rimasi una intera notte, cercando di ricomporre ciò che accadde proprio lì, vent’anni prima. Ayrton, il 30 aprile 1994 era reduce da una giornata drammatica. Roland Ratzenberger, giovane pilota austriaco della Simtek, era morto dopo un urto tremendo alla curva Villeneuve. Il giorno antecedente, venerdì, un altro incidente molto serio aveva ferito Rubens Barrichello, giovanissimo brasiliano, una sorta di allievo prediletto di Ayrton. Senna avrebbe voluto in un primo tempo che la gara venisse sospesa. Una richiesta respinta. Aveva ottenuto la pole davanti a Schumacher, era convinto che la macchina del tedesco, una Benetton, fosse irregolare. In aggiunta Ayrton era alle prese con alcune decisioni molto importanti connesse alla sua vita sentimentale, alla sua attività di manager, ai suoi rapporti con una famiglia amatissima per molti versi, pressante per altri. Il tutto nel momento in cui si preparava a far nascere una fondazione che avrebbe contribuito a sciogliere un nodo centrale della sua esistenza: trovare di continuo un modo per restituire a chi aveva pochi mezzi, scarsa fortuna, ciò che lui, Senna, aveva ricevuto in abbondanza: talento e ricchezza, soprattutto, trattati peraltro con una disciplina solo sua.

Molte risposte sulla forza di Senna come icona stanno proprio qui, credo. Nel proporre costantemente, sino agli ultimi istanti della propria vita, una sequenza di immagini moderne sempre. Connesse al rapporto tra ciò che il destino regala e ciò che ciascuno di noi può fare, giorno dopo giorno, per modellare il destino secondo una serie di principi profondi. Principi etici, direi, connessi ad una riflessione su se stessi, ai comportamenti del quotidiano, a una sensibilità allertata.

Moderno? Oh, sì. Soprattutto dentro un tempo che sgretola slanci e fiducia. Senna andava a caccia non solo o semplicemente di successi. Cercava una ragione, un senso, appunto, passando attraverso un rapporto con Dio anomalo e curioso. La scia tracciata da questo percorso, abbinata alla sua straripante carriera sportiva, costituiscono una sorta di esempio unico. Che resiste e resta. Contiene un magnifico insegnamento utile a ciascuno di noi, abbinato all’ammirazione, alla malinconia, all’orgoglio. La forza sta nella materia prima. Nella capacità di Senna di sfiorare la nostra anima, dopo aver trattato a lungo, continuamente, la propria.

Abbastanza per commuovere e rimpiangere ma anche per ripristinare un conforto profondo. Il valore di un percorso, di uno sforzo spaventoso, persino di un insegnamento. E’ questo, credo, che conta, che tiene qui Ayrton, che porta Ayrton anche nel cuore e nella testa di chi non lo vide correre o fare. Giovani o giovanissimi, pronti anche loro ad incontrare un uomo singolare e modernissimo. Capace di considerare ciò che aveva ricevuto in dote dal firmamento, in un primo capitolo soltanto, in una specie di spunto o di debito da accudire con un impegno assoluto, pagando pegno con una sofferenza acuta.

di Giorgio Terruzzi per RedBull.com