La Sprint Race divide il pubblico. Ma non è la fine del mondo
La Sprint Race verrà provata in 3 appuntamenti del 2021: Silverstone, Monza ed Interlagos
Quello della sprint race è un tema che continua ad animare discussioni, e non potrebbe essere altrimenti, perché si tratta di un cambiamento potenzialmente epocale. Quando nel venerdì di Silverstone piloti e team arriveranno in pista, avranno di fronte un format inedito, che per la prima volta in 72 anni di storia della Formula 1 andrà ad introdurre una nuova procedura per stilare la griglia di partenza.
Qualifiche al venerdì, dopo una singola sessione di prove libere, e poi questa Sprint Race. Una mini-gara da 100 km, un terzo di un GP normale, che mette in palio la pole position e a cascata tutti gli altri piazzamenti per la corsa della domenica. E non solo, perché si assegna anche qualche punto: tre al poleman, due al secondo e uno al terzo.
Un cambiamento che non mette tutti d’accordo, e che sta facendo dividere il mondo della Formula 1. Da una parte i piloti, che non vedono l’ora di gareggiare. Dall’altra i team, a cui servono idee per aumentare i ricavi ed abbattere i costi. Dall’altra ancora i tifosi, che temono di veder snaturare lo sport che hanno tanto amato. Tre prospettive ed esigenze diverse che, prima di verificare l’effettiva riuscita dell’esperimento, risultano difficilmente conciliabili. Ma non è comunque la fine del mondo.
L’ENTUSIASMO DI SAINZ E LECLERC
La prima prospettiva è quella dei driver. Che, come noi, amano la storia di questo sport e le sue tradizioni, ma in fin dei conti sono pur sempre piloti. Ed è normale che per loro avere a disposizione una gara extra in cambio di una blanda sessione di prove libere sia un qualcosa di eccitante, che stuzzica la loro fame agonistica. Le parole di Leclerc in conferenza stampa, in questo senso, sono paradigmatiche. “Sarà molto interessante. Soprattutto perché in una corsa normale risparmiamo gomme e benzina, in una sprint race invece andremo tutti al massimo.”
A fargli eco anche il suo compagno di squadra, Carlos Sainz, incuriosito dalla nuova trovata di Liberty Media. “Sperimentare è interessante, e credo che questo sia l’anno giusto per farlo. In fin dei conti se non funzionerà si può sempre tornare indietro”. Come si è fatto per le qualifiche shoot out del 2016, bocciate dopo solo due tentativi. O ancora come i doppi punti nell’ultimo Gran Premio del 2014, un qualcosa che non fu mai più riproposto.
LE ESIGENZE DEI TEAM E L’ATTENZIONE AI COSTI
L’aspetto finanziario dell’operazione non può essere ignorato, tanto che in molti hanno paragonato questa trovata al fallimentare esperimento della Superlega nel mondo del calcio. Quel che è certo è che, specie dopo la crisi pandemica, diversi team hanno fatto sforzi mastodontici per far quadrare i bilanci e continuare a riempire la griglia di partenza.
Quello dei team minori, che versano in grossa difficoltà, è un problema che non può continuare ad essere ignorato. A meno che non si voglia una Formula 1 elitaria, in cui solo tre top team si scontrano una nobile (ed eterna) replica di Indianapolis 2005. Per evitare questa deriva si è adottato prima il budget cap, che impone un tetto alle spese monstre, e poi la riduzione delle ore concesse per lo sviluppo di motori e aerodinamica, secondo un sistema proporzionale che aiuta proprio chi è più in difficoltà.
Ma cosa c’entra la Sprint Race con i ricavi? Beh, c’entra e molto. Perché un problema di vecchia data per la Formula 1 è che la stragrande maggioranza del suo pubblico si sintonizza esclusivamente per la gara. Quindi rendere più accattivante tutta quella parte di weekend che precede la domenica potrebbe essere utile per aumentare gli ascolti e i ricavi, da redistribuire poi in maniera più equa per valorizzare lo spettacolo e offrire una situazione in cui più di tre squadre possono aspirare a salire sul podio.
I TIFOSI E IL CULTO DELLA TRADIZIONE
E poi ci sono i tifosi, che non sono tutti uguali. Chi è più giovane magari vede di buon occhio la possibilità di rinnovare il format di un Gran Premio, chi è più in là con l’età è invece comprensibilmente più legato alle tradizioni del passato, e alla natura più “pura” di uno sport che temono possa snaturarsi. Posizioni diverse, ma comunque entrambe comprensibili e degne di rispetto.
Non è la prima volta che questo sport cambia pelle e tenta di svecchiarsi. In fondo, la generazione che è cresciuta nella Formula 1 negli anni ’90 ha impiegato tantissimo tempo a metabolizzare l’abolizione di un vecchio week-end composto da due turni di qualifica, un warm-up domenicale e una gara talvolta corsa ad orari improponibili (ma affascinanti) perché la partenza era fissata sempre e comunque alle 14.00 locali.
Certo, anche a chi scrive viene il magone alla prospettiva di dover rinunciare a quella splendida tensione che ha sempre caratterizzato l’ultimo e decisivo tentativo della Q3. Nessuno di noi è davvero pronto a rinunciare ad imprese memorabili sul giro secco, come quella di Senna a Monaco nel 1988 o, in tempi più recenti, di Hamilton a Singapore 2018. Ma sia Ross Brawn che Stefano Domenicali hanno più volte precisato che su alcuni circuiti la sprint race non sarà fatta nè quest’anno nè probabilmente mai.
NON è LA FINE DEL MONDO
Si tratta quindi di un esperimento, che giudicheremo con maggiore completezza già dopo Silverstone. Anche perchè, come dice Carlos Sainz, si può sempre tornare indietro. E la stessa Formula 1, negli ultimi anni, quando ha provato delle cose che non hanno avuto successo (doppi punti, qualifiche a shoot-out) non si è fatta problemi a tornare sui suoi passi, evitando di intestardirsi davanti a qualcosa che non funziona. Se le cose andassero male con la Sprint Race verosimilmente accadrà la stessa cosa.
Non è la fine del mondo soprattutto perché, comunque dovessero andare le cose, sappiamo bene che il fuoco della passione arde, è difficile da spegnere ed è più forte di qualsiasi cambiamento. E alla fine, che la gara sia di sabato o di domenica, di 100 chilometri o di 300, saremo sempre pronti ad entusiasmarci nel momento dello spegnimento dei semafori.