Formula 1: la ricchezza come requisito fondamentale?

Formula 1 Abu Dhabi 2019

Credits: Pirelli Press Area

Che la Formula 1 fosse uno sport elitario è fatto ben risaputo, ma fino a che punto il denaro può davvero contare? L’avvincente storia del sei volte campione del mondo Lewis Hamilton ci mostra quanto sia difficile arrivare in cima partendo da zero

Quella di Hamilton è forse la storia che vorremmo raccontare ai nostri figli prima di andare a dormire. E’ la morale della favola che insegna che, lavorando sodo e non perdendo mai la speranza e la fiducia in noi stessi, si può arrivare lontano, anche oltre quell’orizzonte che ci sembrava impossibile raggiungere.
Sembra difficile da credere ora, ma Lewis non proviene da una famiglia ricca. Suo padre apparteneva all’umile classe operaia inglese e per nutrire i sogni del proprio figlio ha riempito le sue giornate con le mansioni più disparate; il tutto per garantire al piccolo Lewis di continuare a percorrere quella ripida strada, costellata di ostacoli e difficoltà, fino ad arrivare a essere ricordato come l’uomo sulle cui spalle pesa il nome di chi molto probabilmente infrangerà il record per antonomasia, quello cui segretamente aspirano tutti: diventare il pilota più vincente della storia della Formula 1.

Ma attenzione: che non si parli di spocchia e poca umiltà! Questa non è il solito (e un po’ banale) racconto di chi ha lasciato che i soldi lo cambiassero. No, Lewis non ha mai rinnegato il suo passato. Infatti non perde mai occasione per ricordare quanto i suoi genitori si siano sacrificati per lui. Lo ha fatto anche dopo la vittoria del suo sesto mondiale in Texas. Con la voce rotta dall’emozione, ha ringraziato ancora una volta sua madre e suo padre, lì presenti, tanto commossi quanto orgogliosi di quel figlio che ha da tempo capito che la cosa più importante è non dimenticare mai le proprie origini, le radici da cui proveniamo e alle quali sempre tendiamo.

DAL KART DI QUARTA MANO ALLA CLASSE REGINA

Si può dire che il mondo delle quattro ruote faccia parte della vita di Lewis da quando ne ha memoria. Ha iniziato ad appassionarsi alle macchine e alla loro attraente velocità quando aveva appena pochi anni e suo padre per il compleanno gli aveva regalato una piccola automobile telecomandata. Quel talento, quel genuino entusiasmo non è passato inosservato. Di lì a poco, Hamilton è passato dal guidare un giocattolo dal suo telecomando a farlo direttamente dal sedile di un go kart di terza o quarta mano, di cui il padre era il fedele e preciso manutentore. A gareggiare contro l’anglo-caraibico si presentavano i ricchi figli di papà; i ragazzini con parecchie sterline in tasca da poter investire, e Lewis questo lo ricorda come fosse ieri. Descrive sempre la singolarità delle scene cui assistiva quando, arrivando in pista nel weekend di gara, il suo kart, quasi più simile a un rottame, si trovava tutti gli occhi dei presenti puntati addosso. Sembrava come se si stessero domandando se avesse davvero il coraggio di correre su quella caffettiera.

Lewis Hamilton Kart 44
Credits: Lewis Hamilton, Instagram.com

Ma la determinazione, la fame di conquista e la passione di un bambino sognante sono state più forti e travolgenti di qualsiasi statistica e razionale previsione. Su carta, un pilota come Lewis avrebbe avuto vita breve, surclassato dai motori ben più performanti degli avversari. Invece, quasi a voler sovvertire ogni regola e logica, quel bambino di umili origini è diventato presto la dimostrazione che sì, ogni tanto il miracolo può capitare anche al meno fortunato.
Alla tenera età di 12 anni viene preso sotto l’ala protettrice di Ron Dennis che, finalmente, nel 2007 lo porta in McLaren come pilota al fianco del già campione del mondo Fernando Alonso. Un salto da gigante per Lewis, che arrivava dalla vittoria del campionato di GP2 con la Art Grand Prix.

HAMILTON: “IN FORMULA 1 ARRIVANO SOLO PILOTI BENESTANTI

Insomma, quella di Lewis è un po’ la parte della mosca bianca, l’eccezione che conferma la regola; ma lui questa regola vorrebbe cambiarla, a tutti i costi.
L’inglese non ha usato mezzi termini quando ha voluto affrontare il tema legato al percorso che ogni pilota può doversi trovare ad affrontare verso la vetta dorata della Formula 1. E’ uno sport d’elite, riservato a chi ha tutto da perdere e forse meno da guadagnarci. “Mio padre ha speso  una somma come £ 20.000 e ha ipotecato la casa più volte i primi anni. Oggi, purtroppo, è diventato molto costoso” – ha più volte affermato il pilota inglese – “Ci sono pochissime famiglie della classe operaia che arrivano sin qui. Si tratta di famiglie tutte benestanti“.

Lewis ha chiarito quello che è il suo punto di vista in merito ai possibili provvedimenti che la FIA e Liberty Media dovrebbero adottare per rendere l’ingresso in Formula 1 più libero e meritocratico a tutti, e non solo accessibile a una strettissima cerchia di ricchi aspiranti: “Voglio essere coinvolto nel lavoro con la FIA perché possono fare di più per dare occasioni. Non deve essere così costoso, ma dovrebbe essere più simile al calcio e al tennis“.

COSTI DA CAPOGIRO

Per noi profani, totalmente estranei, o quasi, alle dinamiche interne ai Team e al grande Circus della Formula 1, potrebbe essere abbastanza complicato immaginare l’entità degli investimenti necessari a mandare avanti il grande motore di questo sport e gli sforzi monetari richiesti per potercisi almeno avvicinare.  Come starete probabilmente pensando, si tratta di cifre stellari, di tasche da veri e propri paperoni. Quanto si arriva a spendere per assicurarsi un posto nella Classe Regina?

I kart sono senza dubbio il primo step che un pilota deve compiere se vuole almeno tentare a entrare a far parte di questo mondo. Come riporta un interessante ed esaustivo articolo di e-motors.info, un campionato nazionale di kart si aggira intorno a 20.000/25.000 euro a stagione; quelli internazionali il doppio. Si arriva poi alla Formula 4 nazionale e qui una stagione costa sui 150.000 euro. Il passo successivo è quello che ci conduce direttamente alla Formula 3 dove servono circa 450.000 euro. Per gareggiare nella GP3 una stagione si aggira sui 750.000/800.000 euro. Dopo circa 12 /13 anni di gare si arriva al campionato mondiale di Formula 2, per accedere al quale si ha bisogno di un investimento di circa 2 milioni di euro all’anno.
Tirando le somme, per arrivare a bussare alle porte della Formula 1, bisogna essere in grado di investire oltre 5/6 milioni di euro in totale. Una cifra che ben pochi possono vantarsi di possedere.

IL CASO DI VITALY PETROV

Uno dei più attuali casi di “piloti paganti” è il russo Vitaly Petrov. Classe 1984, giunto in Formula 1 grazie al supporto di numerosi e influenti sponsor. Questi nel 2010 gli hanno infatti assicurato un posto sul sedile della Renault, con la quale ha conquistato anche un podio. Ma l’idillio è durato poco e, nel 2012, Petrov è passato alla scuderia Caterham, dove non è riuscito a segnare nemmeno un punto in classifica.

Un “simbolo moderno” di una schiera di piloti fortunati, pronti a investire milioni per avere la chance della vita di correre su un bolide di Formula 1. Ma a che scopo? Quando non hai il talento a supportarti, quel quid che fa la differenza tra un normale pilota e un fuoriclasse, quando ti basta schierarti nel fondo e sperare di arrivare a fine gara senza essere stato doppiato due volte dagli avversari, ci si chiede perché. Perché correre controvento quando non si hanno le gambe abbastanza forti per contrastarlo?

QUANDO I MILIONI TI APRONO LE PORTE

In tanti si sono domandati, e chi non lo farebbe d’altronde, che cosa un pilota debba provare nell’essere sempre tra gli ultimi a tagliare la linea del traguardo. Credo che ci siano due risposte possibili. C’è chi sa di essere arrivato sin lì con dedizione, sacrificio, imparando dai propri errori e sognando durante i propri anni di gavetta di essere un giorno come i grandi eroi dello sport che si vedono in TV. Costui arriverà a fine gara forse deluso, ma certamente consapevole di stringere tra le mani un talento irripetibile. C’è chi invece si trova lì perché seduto sul morbido e dorato cuscino delle rassicurazioni e delle solide certezze, e allora avrà ben altro cruccio. Ed è allora che si arriva a un’altra domanda: il denaro può comprare la fame di vittoria e rimpiazzare il puro e cristallino talento?

A SUPPORTO DEL TALENTO

Sono ormai molti a chiedere una maggiore parità in Formula 1, dai piloti ai tifosi. Il desiderio sarebbe quello di garantire le stesse possibilità anche a chi ha meno denaro da investire ma su cui poter contare in un’eventuale futura carriera automobilistica.
Non che si debba demonizzare il ricco che sfrutta la sua posizione di privilegiato per potersi fare largo in questo ambiente tanto competitivo; ben venga se la possibilità di investimenti possa servire da ottimo trampolino di lancio per chi ha già delle capacità da poter sfruttare strada facendo.

L’ideale sarebbe evitare l’accesso esclusivo e prioritario a chi ha le spalle ben coperte da investitori miliardari ed enormi sponsor. Nel momento in cui si deve decidere su chi puntare tra il promettente ma squattrinato pilota o il milionario dalle discutibili doti, questi fanno inevitabilmente valere il proprio peso sul piatto della bilancia. Una dinamica che va a influire non poco sulle dinamiche dei Team e sui loro equilibri interni.

FORMULA 1 COME IL MONDO ACCADEMICO?

Allora un compromesso possibile potrebbe essere quello di rinunciare a parte dei guadagni milionari annuali per investire sulle promesse del futuro di questo sport Perché no, magari seguendo il modello accademico e mettendo a disposizione delle “borse di studio” finanziate da sponsor e scuderie, che andrebbero a sostenere la preparazione e finanziare parte del percorso dell’atleta. Si tratterebbe certo di correre il rischio e scommettere su un talento senza solide certezze, dandogli però così la possibilità di esprimere il suo potenziale. Ma chi sarebbe disposto a farlo davvero?
Al di là di congetture e proposte di chi non è veramente addentro alle dinamiche commerciali ed economiche del mondo della Formula 1, è anche plausibile credere che dietro al sostegno di una certa cerchia di piloti ci sia il preciso intento di mantenere elitario questo sport e il suo ambiente.