Formula 1 e inclusività: F1world incontra Richard Morris

F1world incontra Richard Morris di Racing Pride

Credits: Richard Morris Instagram

F1world ha incontrato Richard Morris, co-fondatore del movimento Racing Pride che mira a rendere il Motorsport e la Formula 1 un ambiente più inclusivo e accogliente

Mai come quest’anno, la Formula 1 e i piloti si preoccupano di lanciare messaggi di uguaglianza, rispetto, orgoglio e sostenibilità. Per parlare di questo tema, abbiamo deciso di chiedere a chi ci mette la faccia e cerca tutti i giorni di migliorare il mondo del Motorsport, rendendolo più inclusivo. La redazione di F1world ha avuto il piacere e l’onore di chiacchierare con il giovane pilota britannico Richard Morris, co-fondatore del movimento Racing Pride.

Ciao Richard, prima di tutto è un piacere parlare con te. Raccontaci un po’ di te

“Ciao, sono Richard Morris, sono un pilota e il co-fondatore di Racing Pride che è un’iniziativa nata per promuovere l’inclusione della comunità LGBTQ+ nel Motorsport”

Sei il co-fondatore di Racing Pride. Come è nata l‘idea di fondare questo movimento?

L‘idea di fondare Racing Pride è nata da alcune cose. In primo luogo, le esperienze nel Motorsport che ho dovuto affrontare personalmente come pilota. Ho iniziato a fare karting, come fanno molti aspiranti piloti, da bambino, e poi sono entrato nel mondo del Motorsport crescendo attraverso varie serie e formule. Come per qualsiasi altra persona, è stato difficile difficile durante la mia adolescenza realizzare di essere gay perché amavo tantissimo lo sport, ma niente e nessuno mi hai mai fatto pensare che sarei stato accolto”.

“Ho visto cose che mi hanno fatto credere non mi sarei mai adattato a questo sport. Non mi sembrava di avere la personalità che i piloti dovrebbero avere secondo l’immaginario comune. Sono sempre stati descritti come virili e donnaioli e io non mi rispecchiavo in quell’immagine. Nel paddock ho sentito diverse persone usare un linguaggio non costruttivo e ci sono un paio di incidenti di cui ho avuto esperienza. Ho però scoperto che la maggior parte delle persone nel Motorsport vorrebbero rendere questo mondo più inclusivo”.

Amano lo sport e vogliono che il maggior numero possibile di persone venga coinvolto. Semplicemente non sanno necessariamente come comunicarlo. Questo è un altro motivo per cui ho pensato di fondare Racing Pride. Sentivo che creando qualcosa che avesse educato all’inclusività, allora ci sarebbero state più persone propense ad entrare nel Motorsport, perché chiunque vuole che lo sport sia accessibile a tutti”.

“Inoltre, vedere le campagne che sono state fatte negli altri sport come nel calcio, rugby, il cricket e altri importanti sport nazionali mi ha dato una spinta. Stanno facendo cosa davvero importanti per l’orgoglio e l’inclusione della comunità LGBTQ+. In questo, il Motorsport era rimasto indietro e mi chiedevo perché. Infine, quando nel 2018 ho firmato un contratto per un team mi sono accorto che stavo avanzando con la mia carriera e che se avessi fatto seriamente questo lavoro, allora avrei voluto farlo sentendomi me stesso. Non voglio nascondere chi sono alla mia squadra o alle persone che mi seguono. Mi sembrava perfetto il tempismo, da lì è decollato Racing Pride. Mi sono messo in contatto con alcune persone e abbiamo iniziato a costruire questo movimento”.

Per prima avete puntato sulla visibilità. Credi che facendo conoscere le persone che appartengono a questo movimento si possa dar vita al cambiamento?

“Penso che il Motorsport possa raggiungere le persone e avere effetti positivi nella società. Ci sono tantissimi fan in tutto il mondo. Se riuscissimo a iniziare a cambiare l’opinione che questi fan hanno sulle persone LGBTQ +, allora ci saranno delle ripercussioni positive nelle loro vite e con le persone con cui interagiscono quotidianamente”.   

“L’incomprensione della comunità LGBTQ+ deriva da persone che non conoscono chi fa parte dell’LGBTQ+ e che non hanno esempi di persone LGBTQ + di successo. Quindi, nelle mie gare mi sono sempre preoccupato di dare il meglio perché la gente avrebbe potuto pensare che non sono abbastanza aggressivo o abbastanza veloce, o bravo nei duelli ruota a ruota; per via di questi stereotipi di un uomo gay come “debole”.

“Questo succede perché la gente non ha visto piloti gay vincenti. Ed è per questo che ho pensato sia importante salire sul podio con la mia bandiera arcobaleno quando vinco. È un piccolo gesto che può cambiare la percezione della gente e fagli dire: “va bene, puoi essere un pilota gay e vincere gare”.

“L’odio, di solito, deriva dall’ignoranza e dal non conoscere le persone nella comunità che stai odiando. Quindi, spero che la visibilità che creiamo attraverso i nostri ambasciatori e le loro storie positive, faccia sì che alcune persone riconsiderino il modo in cui pensano alla comunità LGBTQ+ e più in generale alle loro vite”.

Quali sono gli obiettivi di Racing Pride? Organizzate eventi di sensibilizzazione?

“Racing Pride fa un paio di cose molto importanti. Uno è visibilità e consapevolezza, e l’altro è l’educazione. Sul fronte della visibilità abbiamo un certo numero di fantastici ambasciatori, tra cui altri piloti oltre me. Abbiamo Sarah Moore, Abbie Eton che corre in W Serie e Charlie Martin che è il primo pilota transgender che ha corso la 24 ore di Nurburing l’anno scorso. Abbiamo persone negli eSport, abbiamo persone nei media, ingegneri, tecnici, funzionari, commissari, volontari in tutto lo sport per essere visibili le persone LGBTQ+. Questo è importantissimo perché uno dei maggiori ostacoli per le persone che vorrebbero entrare nel mondo dello sport è che faticano a vedere persone come loro”.

“Abbiamo creato un gruppo di persone LGBTQ + che hanno avuto successo nello sport per dire “Guarda che puoi far parte di questo sport e per iniziare a cambiare anche la percezione che gli altri hanno.  Ora le persone possano guardare questi ambasciatori di grande successo e dire “Oh, le persone LGBTQ + appartengono al motorsport, guardale!” e spero che le loro, le nostre, storie possano essere d’ispirazione. Anche per questo abbiamo un seguito piuttosto ampio sui social media. Abbiamo lavorato molto con i media convenzionali, abbiamo assistito alle riunioni di gara e abbiamo parlato di Racing Pride portando il marchio e le bandiere arcobaleno e così via per renderci più visibili”.

“Poi facciamo anche un importante lavoro di educazione perché, come ho detto prima, molte persone nel Motorsport vogliono creare un ambiente inclusivo, ma non sanno come fare. Un aspetto molto bello della nostra partnership con Aston Martin è che in pista si nota subito l’arcobaleno, ben visibile, Sebastian Vettel ha indossato la maglietta con la scritta “Same love” in Ungheria; ma soprattutto ho apprezzato il fatto che il team ci abbia chiesto aiuto per diventare davvero più inclusivo giorno dopo giorno. Questo è un compito importante che svolge Racing Pride”.

Dal 2019 il tuo movimento è cresciuto molto. Senti che qualcosa è cambiato? Come ti senti al riguardo?

“Racing Pride è cresciuto enormemente dal 2019 e il livello che abbiamo raggiunto è molto eccitante: siamo arrivati fino alla Formula 1! La cosa più importante che abbiamo fatto è stato portare il tema dell’inclusione LGBTQ+ all’attenzione del Motorsport. È qualcosa di cui non si parlava prima di Racing Pride, mentre ora queste conversazioni stanno prendendo vita. È successo quando siamo andati in Qatar per il GP, e succederà di nuovo in Arabia Saudita. La gente inizia a parlare di questioni relative ai diritti LGBTQ+ nel contesto della Formula 1. C’è Lewis Hamilton che indossa la bandiera arcobaleno sul suo casco mandando un messaggio diretto alla comunità LGBTQ+, cosa che non è mai accaduta prima di questa stagione”.

“Penso che abbiamo iniziato a fare la differenza anche con i team con cui abbiamo lavorato. L’ Aston Martin ha certamente preso questa collaborazione molto sul serio, sia internamente che esternamente. E poi c’è la Williams che corre per creare la propria iniziativa di orgoglio all’interno della fabbrica e all’interno del team”

“Sicuramente c’è però ancora molto da fare. E credo sinceramente che questo debba andare ben oltre le sole squadre che dicono cose carine sui social media o mettono arcobaleni sulle cose. Il movimento deve essere supportato da azioni che stanno intraprendendo per assicurarsi di creare uno sport veramente inclusivo all’interno delle squadre e nello sport in generale. Grazie a questo avremo più persone LGBTQ+ che sentono di appartenere a questo sport sin dalla loro prima interazione con il Motorsport”.  

Nel giugno 2021 hai annunciato la tua partnership con Aston Martin in Formula 1. È qualcosa di estremamente importante essere in grado di presentarsi nella Massima Serie del Motorsport. Come è nata questa partnership?

“La partnership con Aston Martin è qualcosa che è maturata nel tempo. Le mie prime conversazioni con quella che allora era la Racing Point avvennero poco dopo la creazione di Racing Pride. Abbiamo lanciato (il nostro progetto ndr) a giugno 2019 e già a novembre 2019 ho avuto un incontro in fabbrica con alcune persone del team per coinvolgerli. Sin da subito ci siamo accorti fosse di loro interesse collaborare e iniziare un lavoro dietro le quinte di inclusione nel team. C’era sicuramente curiosità per ciò che Racing Pride stava facendo”.

“In quella fase eravamo ovviamente molto giovani e stavamo ancora sviluppando le risorse e le competenze di cui avevamo bisogno per lavorare con un team di quella portata, con centinaia di dipendenti e così via. Ma siamo riusciti a programmare una partnership. Il coronavirus ovviamente si è messo in mezzo, dovevano lavorare da casa e questo rendeva le cose un po’ più difficili. Era difficile avere una conversazione diretta con le persone e, naturalmente, i GP era stati sospesi per mezza stagione. Quindi, alla fine, abbiamo deciso di aspettare che la Formula 1 tornasse un po’ alla normalità”.

“Poi abbiamo iniziato a lavorare intensamente con il team dall’inizio di quest’anno e con la sezione interna che hanno creato dedicata alla diversità e all’inclusione. Ovviamente ci siamo assicurati di creare alcuni progetti significativi prima di annunciare al mondo la nostra collaborazione nel mese del Pride, giugno 2021. Sin dalla mia prima conversazione con il team si capiva che volevano questa partnership fosse qualcosa di sincero; infatti, hanno lavorato molto su loro stessi prima di annunciare la collaborazione. Non volevano mettere arcobaleni sulle monoposto senza aver fatto nulla per la comunità LGBTQ+”.

Penso a piloti come Sebastian Vettel e Lewis Hamilton che cercano di mandare messaggi di solidarietà, cambiamento e diritti civili ogni weekend di gara. Ho sempre pensato che, poiché hanno una visibilità così elevata, è importante che i piloti inviino messaggi, in modo che i fan possano prenderli come modelli. Si dice spesso “una maglia non cambia le cose”, ma crea dibattito. Cosa ne pensi a tal proposito?

“È un argomento delicato, soprattutto quando si è in Paesi in cui i diritti LGBTQ + non sono considerati. In generale, il fatto che questi piloti lancino dei messaggi e che siano delle figure chiave è estremamente importante. Penso che sia incredibilmente significativo per un paio di motivi: in primo luogo, questi piloti vengono guardati dalle persone, sia che facciano parte della comunità LGBTQ+, siano che siano loro fan o che non facciano parte della comunità. Questo solleva un certo interesse nel dibattito e può contribuire a far cambiare atteggiamento”.

“Sebastian e Lewis non fanno parte della comunità LGBTQ+, ma vogliono inviare un messaggio di solidarietà e dire che è importante. Questo crea molto seguito e spinge le persone ad ascoltare e a pensare a cosa si può fare per sostenere le persone LGBTQ+ intorno a loro. Significa davvero molto per le persone LGBTQ+ che sono fan di questi piloti, perché è si sentissero dire “Tu conti, sei apprezzato e io mi preoccupo per te”. Questo è di per sé un messaggio potentissimo”.

“Capisco benissimo che Lewis Hamilton che indossa il suo casco in Qatar e Arabia Saudita non farà cambiare le leggi di quel paese entro domani, questo è completamente irrealistico come aspettativa. Tuttavia, sta usando la piattaforma che ha nel miglior modo possibile perché può portare messaggi e dire cose che altre persone non possono. Andando in questi luoghi, sta cogliendo l’occasione per rimanere fedele ai suoi valori e dichiarare i suoi principi in un modo rispettoso senza costringere le persone ad essere d’accordo con lui, ma dicendo che tutti siano uguali e dovremmo stare insieme”.

“Quando ho detto che riceviamo molto supporto dai fan, ovviamente parlo di una certa fetta di persone. So che ce ne sono altre che non sano d’accordo con la nostra inclusione LGBTQ +, ma penso che sia per questo che le azioni di persone come Vettel e Hamilton sono davvero importanti perché sono figure rispettate che le persone guardano. Possono cambiare le percezioni”.

Hanno una piattaforma e una visibilità molto grande e la usano nel modo giusto

“Sebastian Vettel e Lewis Hamilton stanno usando la posizione privilegiata che hanno per dire cose o per mostrare cose che forse le persone che vivono in alcuni paesi come Ungheria o Qatar non potrebbero mai fare. Stanno semplicemente mostrando ciò in cui credono mentre viaggiano in tutto il mondo. E così facendo, possono mostrare solidarietà a persone che forse non sono in grado di parlare da sole in luoghi diversi. È una cosa davvero potente e meravigliosa per questo sport”.

Quest’anno il Circus ha lanciato lo slogan “we race as one” come segno di accoglienza della diversità. Argomenti che vengono lasciati da parte quando si tratta di correre in paesi come l’Arabia Saudita, dove far parte della comunità LGBTQ+ è illegale. Che ne pensi?

“Penso che “we race as one” veicoli fondamentalmente due cose importanti. Uno è il fatto che riconosce la richiesta dei fan di avere uno sport più etico e inclusivo. In particolare, ora stiamo raggiungendo i fan più giovani e ho visto di recente che l’età media degli spettatori alla Formula 1 è diminuita. Questa generazione si preoccupa con passione dei valori e dell’etica dello sport e penso che questo abbia portato alla creazione di “we race as one”.

“Inoltre, penso che lo slogan possa essere meglio compreso come un’ispirazione, piuttosto che come l’attuale stato attuale delle cose. La gente l’ha giustamente messa in discussione e ha sottolineato le incongruenze e il divario che c’è attualmente tra le buone intenzioni, che credo ci siano, e ciò che accade effettivamente oggi. E penso che questa sia in realtà una delle cose migliori che è emersa dal “we race as one”.

“Questo concetto non si è ancora tramutato in azioni e cambiamenti concreti, ma quello che è successo è che le persone hanno iniziato a porre domande importanti e quindi sono molto contento che la Formula 1 abbia portato avanti “we race as one” perché significa che i fan e i media stanno ora esaminando la Formula 1 in relazione a questa gamma di questioni”

Ci vorrà del tempo perché la Formula 1 cambi, c’è molto interesse commerciale, ci sono molti partner e parti coinvolte da portare con nel viaggio, ma penso che sia chiaro che siamo sulla giusta direzione. Persone come me vorrebbero che le cose accadesse molto più velocemente, ma dobbiamo anche essere realistici e penso che dobbiamo accogliere con favore il fatto che lo sport si stia muovendo per la prima volta nella sua storia, anche se non lo sta facendo così velocemente come vorremmo”.

“Ci sono persone che dicono che non dovremmo andare in territori come il Qatar e l’Arabia Saudita e capisco questo argomento, tuttavia, andare lì e mostrare i nostri valori è veramente importante. Sarebbe sbagliato per lo sport andare lì e non parlare di questi problemi. Quest’anno, come risultato del “we race as one” e del movimento Racing Pride, si inizia a parlare di questi problemi anche in questi luoghi”.

“E così, nella mia mente, possiamo giustificare la Formula 1 in Qatar perché abbiamo fatto qualcosa di molto buono e positivo mentre eravamo lì. Ovviamente, non possiamo cambiare il mondo da un giorno all’altro, ma possiamo avviare una conversazione che potrebbe cambiarlo in futuro”.

Legato a questo tema, spesso ci sono state critiche rivolte alla Formula 1 perché accusata di trattare temi politici, ma in realtà riguarda i diritti umani, c’è una grande differenza.

“Sì, hai ragione. La ragione per cui lo sport è avvincente e la ragione per cui tutti amiamo lo sport è che lo sport riguarda le persone. Lo sport riguarda le storie umane. Quindi, seguiamo i piloti e le figure chiave nello sport perché fondamentalmente siamo interessati alle persone e questa è la connessione che lega i fan e quelli in pista”.

“Si tratta di persone: di tutte le forme, tutti i colori, tutte le sessualità, tutti i generi e tutte le religioni. Pertanto, abbiamo bisogno di abbracciare tutti nello sport, che non è (come dici tu) politico. Semplicemente, il nostro sport rappresenta la realtà, riguarda l’umanità e la connessione umana. Capisco perché la gente dice “lo sport non riguarda la politica”, ma questa spinta all’inclusione non è politica. Si tratta di diritti umani, di persone e di connessioni umane”.

Quello che state facendo e avete fatto in questi anni sono piccoli passi che hanno sicuramente portato al cambiamento. Secondo te, cosa si può fare di più nei prossimi anni? Hai già nuovi obiettivi?

“Racing Pride ha piani molto ambiziosi per espandersi drasticamente. Vogliamo lavorare molto di più a livello internazionale. Abbiamo iniziato nel Regno Unito, naturalmente, siamo molto consapevoli di essere il primo movimento LGBTQ+ nel Motorsport e vogliamo raggiungere quante più persone e paesi per fare la differenza. Contiamo di fare di più in Europa l’anno prossimo e abbiamo in programma di arrivare anche in Nord America. Vogliamo raggiungere più serie e vogliamo avere una vasta visibilità attraverso i nostri rappresentati nelle diverse serie. Vogliamo raggiungere una situazione in cui tutti, ovunque si trovino, possano essere accolti nel Motorsport”

“Vorremmo anche raggiungere una situazione in cui gli organi di governo, le serie e le squadre dal livello d’élite alle altre, capiscano come essere luoghi sicuri e di sostegno per le persone LGBTQ+. Quindi, quando i piloti, i volontari, i funzionari LGBTQ+, viaggiano in tutto il mondo devono sapere di essere sicuri e protetti, ma anche quando lavorano nel loro ambiente quotidiano devono sapere di essere rispettati e accolti”.

“Dobbiamo anche impegnarci con i fan perché penso che sia fondamentale. Sono i fan che danno una spinta allo sport per cambiare. E Racing Pride può costruire quel supporto visibile da parte dei fan per cambiare. Maggiore sarà la pressione sullo sport, più velocemente cambierà. Quindi, vogliamo assolutamente continuare ad abbracciare tutti i fan che ci seguono per questa causa”.

 

Alessia Gastaldi e Chiara De Bastiani