Vi spiego perché il paragone Verstappen-Marquez non sta in piedi
Giovane, fenomeno, irruento. Sono solo tre degli innumerevoli aggettivi con i quali si potrebbe definire Max Verstappen, il ventenne olandese alla sua terza stagione in Red Bull. La sua reputazione è sempre stata legata al suo comportamento discutibile in più occasioni, dove l’istinto puro l’ha sempre fatta da padrone.
Durante la gara del GP Cina Verstappen ne ha combinata una delle sue, buttando via la doppietta che il team Red Bull aveva ormai in tasca terminato il regime di Safety Car. Vettel è stato la vittima del giovane carnefice, penalizzato di “soli” 10 secondi dagli stewards, i quali si sono in parte uniformati alla decisione presa su Pierre Gasly, autore di una manovra analoga.
La fanbase del mondo dei motori non ha tardato a tirare fuori la tastiera e lasciarsi andare a uno dei paragoni più ovvi, dopo la dinamica del GP Argentina di MotoGP della scorsa settimana. Il campione in carica Marc Marquez ha dato un brutto spettacolo a Termas De Rio Hondo, reagendo male all’inizio in salita dovuto allo spegnimento della moto subito prima della partenza. Da quel momento il pilota, penalizzato per essere partito ugualmente dalla griglia, ha dato vita a una rimonta senza eguali, totalmente imbizzarrito alla vista dell’occasione che stava scivolando dalle proprie mani. Proprio come un cavallo imbizzarrito e con i paraocchi, infatti, ha causato la caduta di più di un rivale, come se fossero birilli, e tra questi c’era anche Valentino Rossi. Dati i precedenti, la posizione di Marquez non ha fatto che aggravarsi agli occhi della tifoseria, davanti agli sguardi perplessi di una direzione gara disorientata e priva di nerbo.
E’ così germogliata, fertilizzata rapidamente dagli algoritmi dei social, la similitudine tra Verstappen e Marquez. Ci sono analogie a volontà tra questi due piloti, ma ciò che sfugge è sempre il contesto nonché l’essenza del pilota.
Max Verstappen è arrivato in Formula 1 protetto dall’ala robusta del Dr. Marko, il quale ancora nel 2015 lo definiva “Il nuovo Senna”, cosa che psicologicamente ha indotto numerosi giornalisti a forzare inutili parallelismi. Quanto a character building l’austriaco ha svolto un ottimo lavoro, generando hype, non c’è che dire, ma le aspettative create non hanno esattamente incontrato la realtà. La gravità degli errori di Verstappen è sempre stata smussata dall’attenuante della giovane età e dell’inesperienza, nonostante le dimostrazioni del proprio talento puro siano giunte da subito, ovviamente coadiuvate dalle promozioni di Helmut Marko. E’ vero, in gare come Brasile 2016 ha salvato il pubblico annoiato sia a casa sia in tribuna, ma un grado sufficiente di maturità in pista non è ancora stato raggiunto.
Il moving-under-braking è diventato uno dei suoi espedienti preferiti per portare a casa i sorpassi, ed è anche l’arma che ha fatto impazzire un vulnerabile Sebastian Vettel in casi tutt’altro che isolati. Questa mossa, seppure al limite, era un mezzo sottile per sorpassare i rivali, ma il pilota l’ha raramente usata con intelligenza. Inoltre, l’ammontare di errori umani e non causati dalla macchina è piuttosto importante. L’ultimo esempio è la disastrosa piega che ha preso il weekend in Bahrain dopo l’errore in qualifica e il ritiro al primo giro per l’aggressività non giustificabile su Hamilton. Sette ritiri hanno caratterizzato la sua stagione 2017, il maggior numero di DNF tra i top team lo ha collezionato proprio lui, sprecando ogni chance per dimostrare di saper essere costante a lungo termine, requisito chiave per un top team. Sebastian Vettel nella giornata di oggi ha infatti sottolineato il fatto che Verstappen non sia più un rookie e l’età non valga come scusa per ogni mancanza. Non risulta una vera e propria crescita personale nel percorso di Verstappen, dove una certa inesperienza persiste in modo anomalo.
Marc Marquez, al contrario, è un self-made man. Ha da subito avuto un forte impatto, senza che mentori o giornalisti cantassero l’inno delle sue lodi. Tramite i fatti si è fatto conoscere e soprattutto ha cambiato radicalmente il proprio atteggiamento nel corso degli anni. In MotoGP ha vinto quattro Mondiali, di cui il primo al debutto, tutti con approcci e gradi di maturità diversi. Cadute spettacolari, mosse al limite, una spaventosa tendenza al rischio erano inclusi nella firma del giovane Marquez, che non badava a spese: pur di vincere era disposto a qualsiasi cosa. Nel 2016 il mindset è decisamente cambiato, con un Marquez in grado di mantenere il sangue freddo, ascoltare il team quando si trattava di giocare di strategia, ma soprattutto di accontentarsi pur di portare la moto a casa. E’ così che ha vinto i Mondiali più recenti, pur mantenendo una sana componente di follia nel proprio stile. Mentre le Yamaha e le Ducati soffrono se una pista non incontra esattamente le caratteristiche della propria moto, Marquez è sempre martellante e costante nelle prime posizioni, a tirare fuori dal cilindro velocità e traiettorie impossibili. Il caso dell’Argentina è isolato, ma soprattutto non era una attacco ad personam nei confronti del buon Valentino, al quale Marquez ha anche tentato di scusarsi o quantomeno spiegarsi.
Pertanto, ritengo tanto facile quanto comodo comparare due identità complesse, che si concretizzano in un pilota che ancora non ha trovato il giusto mezzo contro una vera e propria garanzia della propria categoria, dove non batte solamente i record legati all’età e non ha nulla da dimostrare.