Smontano un’auto cinese e non credono ai loro occhi: questo è ciò che si sono trovati davanti
I prezzi di un’auto cinese è motivo di forte discussioni. Perché hanno un prezzo così basso? La sorpresa è quando la smontano.
Fino a qualche decennio fa la Cina era famosa per essere la patria delle biciclette. Quasi venivano snobbate le auto, considerate pesanti, rifinite in modo impreciso e soggette a difetti. A un certo punto, però i veicoli fabbricati da aziende giapponesi, tedesche e americane – in collaborazione con aziende locali – conquistarono poi il mercato cinese, una tra tutte: il gruppo Volkswagen.
I produttori cinesi cominciarono a sviluppare una propria economica in materia, progettando e sviluppando auto, senza importarlo più. Ed è qui che trovarono la svolta. Quale è? Il reverse engineering.
Se c’è qualcosa, ora, in cui le aziende asiatiche sono super esperte, è proprio il reverse engineering. È una tecnica tanto semplice quanto performante in Cina: si basa sull’accesso alle soluzioni tecnologiche della concorrenza, smontando alcuni dei loro prodotti.
Grazie a un piano lungimirante, sempre più imprenditori e rappresentanti del governo cinese decisero di evolversi. Come? Puntando sulle auto elettriche, adducendo anche motivi ambientali. Si cercò di primeggiare in questo segmento di settore. Detto, fatto.
Il successo cinese
A differenza di quanto sta succedendo in Europa dove il passaggio dal motore a combustione, a quello con le batterie, in Cina le auto elettriche stanno spopolando, a tal punto di aver invaso anche l’Europa, grazie principalmente al loro costo, notevolmente più basso dei suoi competitor.
Il successo cinese, al di là di una mentalità votata al green molto più imponente degli occidentali, ma non solo per questo motivo, si deve in gran parte grazie alla loro “opacità”: l’offerta delle auto elettriche con un carico tecnologico molto avanzato e a un prezzo difficile da eguagliare per il resto dei produttori mondiali.
L’esempio dell’auto cinese smontata
L’esperimento di un’auto cinese smontata è diventato un esempio. La “cavia” è stata l’iconica BYD Atto 3, un’auto da 200 cavalli con 420 chilometri di autonomia, che costa soltanto 37.000 euro, più o meno. Smontata l’auto, ecco la grande sorpresa: quasi tutti i componenti del veicolo erano stati prodotti internamente, dalla batteria alle centraline, passando per il motore elettrico e per la carrozzeria.
BYD, che negli ultimi anni sta facendo a sportellate con Tesla, dandole molto filo da torcere, è uno dei maggiori produttori di batterie al mondo e utilizza la propria tecnologia chiamata Blade, che posiziona i moduli in posizione verticale, occupando meno spazio e guadagnando in rigidità. Un’altra peculiarità riscontrata è anche la semplicità di fabbricazione del veicolo: ci sono molte meno parti rispetto a quelle normalmente utilizzate dall’industria europea o giapponese. È il processo produttivo, più costoso, che buggera noi e fa sempre più grande l’industria cinese.