Credits: Mercedes Press Area
Dopo la sconfitta di Abu Dhabi, Hamilton si è chiuso in un silenzio prolungato. In prima persona, Lewis non ha mai parlato di ritiro, ma sono stati altri a farlo al posto suo. Le parole di Wolff hanno messo i tifosi in agitazione, e da più di un mese i giornali specializzati non fanno che porsi la stessa domanda: il sette volte campione continua o si ritira? Forse per Hamilton esiste una terza opzione: quella dell’anno sabbatico.
Si tratterebbe del classico compromesso adottato per non dover sostenere il peso della scelta. Sulla carta, non sembrerebbe tanto male: dodici mesi di pausa per riflettere più a fondo e capire com’è la vita senza Formula 1, con la possibilità di rientrare comodamente nel 2023. Se gli aspetti positivi non mancano, allo stesso modo non si possono sottovalutare i rischi. Rimettersi al volante di una monoposto di Formula 1 dopo un break di uno o più anni non è mai semplice, tanto più se nel frattempo ha avuto luogo una rivoluzione regolamentare.
Schumacher, Räikkönen, Alonso: sono questi i casi recenti più illustri di piloti tornati in attività dopo un periodo di pausa. Il rientro dell’asturiano è storia del 2021, che ci ricordiamo tutti molto bene. Dopo un inizio stentato, Alonso ha collezionato ottimi risultati, con un rendimento degno del suo status di bicampione del mondo. Due i fattori chiave per il successo dell’operazione: la classe cristallina del pilota spagnolo e la continuità del regolamento tecnico della Formula 1, rimasto sostanzialmente invariato dal 2018 al 2021.
Räikkönen, tornato nel 2012 dopo due anni di pausa rigenerante, aveva impiegato poche gare per salire sul podio, dimostrando di non aver perso lo smalto, quantomeno in gara (i problemi in tal senso sarebbero emersi dal 2014 in poi). Kimi era riuscito ad adattarsi rapidamente a regole piuttosto diverse da quelle a lui note: nello specifico, abolizione dei rifornimenti e pneumatici Pirelli. Di grande aiuto al finnico erano state una squadra pronta a soddisfarne ogni esigenza e un’età ancora piuttosto giovane.
Appena due anni prima, non era andata altrettanto bene al sette volte campione Michael Schumacher. La nuova Formula 1, di stampo certamente più “endurance” rispetto a quella che aveva lasciato, poco si adattava a un pilota che aveva fatto della capacità di spingere al massimo per l’intera gara il suo punto di forza. Naturalmente l’età avanzata non aveva agevolato il compito del tedesco classe ’69, che in termini di reattività e velocità dava l’impressione di aver perso qualcosa rispetto ai fasti di un tempo, pur mantenendo intatta la tenacia che sempre lo aveva contraddistinto.
Nell’esperienza di Schumacher sono riassunti tutti i rischi che potrebbe correre Lewis. Saltare a piè pari il 2022 significherebbe non poter provare le vetture figlie del regolamento tecnico al debutto, con aerodinamica rinnovata e pneumatici Pirelli da 18 pollici. Concedere un anno di esperienza ai rivali sarebbe estremamente pericoloso, anche per un sette volte campione del mondo. Nulla assicura che, di ritorno nel 2023, Hamilton saprebbe subito colmare il divario di conoscenza. Inoltre, Lewis ha appena compiuto 37 anni. La storia di Alonso dimostra che si può tornare in Formula in età avanzata ed essere ancora competitivi ai massimi livelli.
L’invecchiamento sportivo, tuttavia, è una questione molto soggettiva. Si può dare per scontato che Hamilton, dopo un anno di inattività, avrebbe lo smalto di un tempo? Probabilmente no. E se anche fosse, la Mercedes avrebbe davvero interesse a garantirgli un sedile dopo dodici mesi di assenza? Questo significherebbe trattare l’eventuale sostituto di Lewis alla stregua di un segnaposto. In conclusione, ci sentiamo di dire che, qualora Hamilton stesse davvero valutando di prendersi un anno sabbatico, forse farebbe bene a ripensarci.