In memoria di Senna, il giro perfetto di Monaco 1988

©McLaren Press Area

14 maggio 1988, una manciata di minuti alla fine della sessione di qualifica. Ayrton Senna termina il proprio giro davanti a tutti ma decide di stare fuori e tentare un ultimissimo giro per migliorarsi. Tre settori, meno di un minuto e mezzo per dare il meglio di sè. Il genio paulista quel giorno fece un giro perfetto, quella tornata impeccabile alla quale ogni pilota aspira. «Ero già in pole e stavo andando sempre più veloce. Ad ogni curva acquisivo velocità. Mezzo secondo, un secondo più veloce e non mi sono fermato. Guidavo guidato dall’istinto, ero in un’altra dimensione. L’intero circuito era per me un tunnel, continuavo ad andare  veloce, ero ben oltre il limite ma riuscivo a trovare un altro limite da superare. Improvvisamente qualcosa mi colpì, mi risvegliai, alzai il piede. Tornai lentamente ai box, spaventato, con la consapevolezza di essere stato al di là della normale percezione e di essere incredibilmente vulnerabile ».

Ciò che successe  quel giorno non è stato seguito in diretta da molti tra gli attuali appassionati di Formula 1, ma continua a vivere attraverso il ricordo. La memoria di un evento capace di penetrare nei nostri animi e scuoterli con delle semplici frasi che, pronunciate in qualsiasi lingua, con una qualsiasi intonazione, fanno venire la pelle d’oca. Solitamente questo particolare aneddoto è riassunto in un paio di scialbe frasi delle biografie di Ayrton, come se si volesse comprimere l’immensità di ciò che accadde quel giorno forse per  l’assenza delle parole giuste per descriverlo. Un minuto, ventitre secondi, novecentonovantotto millesimi, pole position, nettamente più veloce rispetto al compagno di squadra Prost e al ferrarista Berger. Quando venni a conoscenza del distacco tra il giro di Senna e quello di Prost, con la stessa McLaren, ammutolii e la domanda “come avrà fatto?” mi bersagliava la mente. Come si fa a raggiungere lo zenit dell’abilità di guida in così poco tempo? L’arma di Ayrton, pilota bramoso di vittoria, era la capacità di distaccarsi dalla realtà e di compiere lucidamente un giro di pista completamente isolato dal resto per tirare fuori il meglio dal binomio costituito da se stesso e dalla monoposto. La forza del pensiero che si converte in un’energia nuova che eleva alla perfezione non è una condizione umana. Senz’altro è un’abilità da supereroe, emersa proprio a Monaco, dove la percentuale di rischio è massima! Tuttavia, dopo aver oltrepassato la linea che divide l’estremo dal normale, Ayrton si sentì vulnerabile, in grado di avere fiducia nel proprio subconscio solo fino ad un certo punto forse perché la perfezione in qualche modo fà conoscere il pericolo più grande. Secondo me è stata proprio la consapevolezza del pericolo a colpire e svegliarlo da quello stato di trance.

Ciò che mi lega di più a Senna è il suo modo di interpretare la velocità, ossia l’essenza del motorsport, come un modo per guardarsi dentro. Per lui la velocità era la vita, l’ossigeno che teneva accesa la fiamma del proprio desiderio di dare il massimo ed avere il massimo. Quale mito non fà del proprio mestiere un percorso per trovare se stesso e scoprire il proprio limite?! Lo paragonerei ad Antoni Gaudì, il famoso architetto di Barcellona, perché sono entrambi stati in grado di convertire la propria abilità in arte vivente. Due uomini nati troppo indietro nel tempo rispetto alla maturità delle loro menti geniali. Entrambi dopo la loro morte hanno rivoluzionato materialmente ed eticamente le realtà in cui erano cresciuti. Con Imola’94 la F1 ha letteralmente toccato il fondo e successivamente c’è stato una radicale trasformazione all’insegna della sicurezza. Dagli anni ’50 agli anni ’90 infatti il motorsport è stato più una scelta di morte che di vita! Gaudì era un visionario, ritenuto troppo innovativo. In vita non ha riscosso molto successo la sua arte ispirata alla natura, tanto che morì povero; ma ora è ritenuto il creatore, per giunta unico autore dell’aspetto di Barcellona. Simili anche nella morte, avvenuta per entrambi nel proprio tempio: per Ayrton in un circuito, per Antoni vicino alla Sagrada Familia.

Senna era troppo unico per avere dei rivali veri, infatti la frase “la vita è troppo breve per avere dei nemici” è sua. Solitario nella vita alla scoperta della giusta interpretazione del limite, non ha mai voluto nient’altro che arrivare primo, senza avere qualcuno davanti a sè per contemplare l’orizzonte dell’esperienza.