Formula 1 | GP Cina 2018: Daniel Ricciardo, l’anima trova sfogo in pista

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© Red Bull, Press Area

Anche Daniel Ricciardo nota da lontano un Sebastian Vettel non facente sconti, nemmanco alla domenica, al compagno di colori, in una partenza legittima, in chiusura, anche per via di un dosso lato sinistro carreggiata imbocco curva a chiocciola di Shanghai. Tant’è, spedisce, secondo orde di detrattori in servizio permanente, nonché improvvisati in turno, il caro amico Kimi Raikkonen al purgatorio, dopo la fine del primo settore di pista. Non fosse che, il Kimi, il beneamato, nell’uncino curva 2 si sia difeso dai contrattaccanti ulteriori in maniera poco efficace. Con una pseudo-ripartenza visivamente pessima, quando anche il connazionale, argentato, era oramai lontano ed in scia al tedesco rosso.

Dal purgatorio di Espoo, al paradiso di Heppenheim, visto che la SF71H #5 ha tenuto la testa per tutto il primo stint di gara, senza il benché minimo problema, Bottas. Già, proprio lui, il sottovalutato Valtteri, capace, sempre, di sostituirsi al capitano quando in pausa caffè, di solito prolungata per l’intero weekend di gara. A sto giro in Cina, su uno dei suoi fortini per antonomasia, alle prese con una W09 #44 troppo difficile per i suoi gusti.

Tutto secondo i piani Ferrari. Tolto Hamilton, tolto ogni problema, ogni serio ostacolo per il tris di vittorie, per volare sempre più su nelle classifiche iridate. Eppure quel grigio finlandese, di lì a poco, avrebbe realizzato una magia, un qualcosa di inimmaginabile, visto il margine di sicurezza undercut messo in cascina da Vettel. Sufficienza, col senno di poi, per dato di fatto lampante e incredibile, una W09 #77 volante per poco meno di due giri, su mescola media, appena messa dal giro 18. Un giro ulteriore per il #5, una prassi comprensibile varata dal muretto rosso, rivelatasi letale.

Tutto secondo i piani Mercedes, o quasi. Nella riuscita dell’undercut, Bottas ha messo quanto di buono è capace di fare al volante. Più di quanto chiunque abbia potuto solo pensare in quei frangenti di gara. Ecco che gli Dei protettori Mercedes affondano il colpo, restituendo quello subito in Australia, proprio allo stesso autore dell’allora golpe ai danni del campione del mondo, valso la vittoria Ferrari. La legge del contrappasso, pronta, bella che impacchettata dall’impensabile finnico della stella a tre punte. Un colpo da maestro che non ha comunque tolto dalla testa di Sebastian l’idea di vincere in quel di Shanghai.

La Loria ne ha di più, anche su banda bianca, stavolta, in termini di passo, non proprio in termini di trazione. Una mescola complicata da utilizzare per un tentativo di sorpasso, da grip problematico, poco favorevole ad eventuali azioni di riconquista in pista della P1. Nel mentre, gli altri, lì, dietro a contendersi il terzo gradino del podio, cristallizzati dall’ingessata strategia ad unica sosta, da race pace non all’altezza, molto simili nei rispettivi livelli prestazionali espressi.

Semplici spettri, tagliati fuori dalla lotta al vertice di Cina, assieme al Rettore inglese, quel “The Hammer” in balia di una monoposto irriconoscibile sulle tanto amate Medium, tra le sue amate pieghe tilkeane cinesi. Gente in attesa di una variabile esterna, da trovare a favore, in traiettoria, quale manna dal cielo.

Manco il tempo di provare ad infilzare la W09 #77 che il quarto alla bandiera a scacchi del Bahrain crea la pazza occasione. Gasly sperona il pari Hartley, via con la SC, dopo qualche giro sui detriti, giusto in tempo per aprire all’eventualità sosta il resto del gruppo. Per far divenire nel contempo vittime sacrificali i primi due, ad opera dei Red Bull, doppiamente, quasi simultaneamente, abilmente pittati, candidati con le Soft ad una facile doppietta. Rientrati lì, ad un soffio dai malcapitati Mercedes – Ferrari rimasti in bianco, tenuti a tiro dalla Mercedes fuori concorso di Bern Maylander.

Tutto secondo i piani di Max Verstappen. Con lo scomodo compagno d’armi, domato e relegato alle spalle anche in gara. Tutto pronto per il nuovo successo orange, non fosse che l’olandese si trasforma in una sorta di palla da bowling infuocata. Quasi sbatte contro Ginetto, riesce nello strike di giornata con la SF71H #5, al rampino del T3. Un bimbo prodigio ingordo, maldestro, lontano parente del sublime pilota ammirato in Brasile 2016 sotto il diluvio. Incapace di sorpassare, se non con dinamiche da play.

Per fortuna, tutto secondo i piani Red Bull. Grazie a Valchiria Ricciardo. Vola via, su una RB14 leggera, velocissima, sbarazzandosi del duo Mercedes con spaziali staccate, a mo’ di serpente. Senza rovinare gli oramai sguarniti piani altrui. Vola via in una scia aurea lungo il tracciato, per i giri restanti, ricordando a smemorati vari ed eventuali la sua purissima classe. Le immense capacità di gestione gara, la freddezza di ergersi a vincitore designato. La maestria nel concretizzare l’occasione propizia, nel chiudere l’inedita roulette cinese in suo favore, in un successo molto sentito. Un puro istante di gloria, condito da un pianto liberatorio lì dall’alto del podio, con al cospetto la, per gli altrui, muraglia Bottas, il martoriato in rosso, “Iceman”.

Uno sfogo incondizionato di un ragazzo mai del tutto amato in Red Bull, nonostante imbattuto ai punti da Vettel e Verstappen. Una vittoria che più che lanciare Ricciardo alla conquista delle iridi 2018, lo pone in pole position per ingaggi più prestigiosi. Si spera, quantomeno, densi di riconoscenza.