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Ovviamente ci sono rimasti tutti male, malissimo. Perchè dopo anni di sofferenza c’era finalmente una Ferrari in pole position, a Monaco per giunta, dove la prima posizione in griglia vale metà vittoria. E accendere la TV vedendo Charles a testa bassa seduto su un guard rail è stato un trauma. A dire il vero lo sarebbe stato anche se questo destino beffardo fosse capitato a qualcun altro. La Formula 1 ha un bisogno disperato di imprevedibilità, e chiunque potesse allargare il campo dei pretendenti alla vittoria sarebbe stato il benvenuto.
E invece la speranza si è infranta contro le rigorose regole del parco chiuso, che autorizzano interventi minimi sulle vetture dopo le prove, anche in caso di incidente. Si può discutere all’infinito sulla scelta della Ferrari di partire con lo stesso retrotreno delle prove, per non incorrere nella penalizzazione di cinque posizioni in griglia. Per inciso, io credo che abbiano fatto bene a rischiare. Resta il fatto che, in virtù di un regolamento nato con certi scopi, la gara ha perso ancora prima di cominciare il suo protagonista più atteso.
Questo regolamento cattivissimo non è che nasce per puro sadismo, intendiamoci. Rientra invece nella logica dominante della riduzione dei costi, e quando fu formulato non era nemmeno così campato in aria. Basti pensare che una trentina di anni fa le scuderie erano autorizzate a portare ai box una quantità pressochè infinita di parti meccaniche e componenti, e potevano sostituirli in piena libertà. C’era la macchina di riserva (il famoso muletto), in certi casi addirittura due, così entrambi i piloti avevano bella e pronta una vettura già predisposta secondo i propri gusti. C’erano motori da qualifica che duravano quindici chilometri e poi venivano sostituiti da quella freschi per la gara. C’erano dieci telai all’anno, rimpiazzati al minimo danneggiamento.
Facile capire quanto costasse quest’andazzo. E che solchi di competitività potessero crearsi tra chi questo carrozzone di pezzi d’acciaio e fibra di carbonio poteva permetterselo e chi invece arrivava in autodromo con due macchine ridotte all’osso. Supplicando i piloti di tenere la macchina in pista. Riparando in maniera artigianale quello che malauguratamente si rompeva.
E allora ben venga un regolamento più severo sul parco chiuso. Ci voleva un po’ di limitazione allo spreco di soldi per parti che si rompono dopo due giri, in barba ad ogni principio di base della progettazione meccanica ed anche ai riflessi sulla produzione di serie. Solo che la limitazione è piaciuta talmente tanto che ora viene il sospetto che si sia superato un certo limite.
Una stagione di più di venti gran premi con così pochi cambi e motori non la regge nessuno. Tanto che le squadre già programmano la sostituzione, e la conseguente penalità in griglia, sulle piste dove pensano di “farsi meno male”. E non è tanto bello da vedere.
In più domenica scorsa c’è stato il vero e proprio caso che “ribalta il tavolo”. Quello di un pilota che ottiene una pole storica, un risultato che può trasformare una gara noiosa in un evento ricco di spunti e che neanche riesce a prendere il via. Il tutto dopo che per diverse ore i suoi meccanici guardano il cambio da sopra e da sotto, da destra e da sinistra con ogni possibile strumento diagnostico, senza poterlo aprire!
E allora forse qualche modifica regolamentare al regime di parco chiuso ci vuole. Non uno stravolgimento, ma un aggiustamento sì. Magari che dopo un incidente si possa intervenire anche sulle parti contingentate. Per lo meno poterlo fare un certo numero di volte durante la stagione.
Che si consenta insomma a chi si è superato in qualifica di poter cogliere i frutti del proprio talento in gara. Perchè un pilota che ottiene la pole e non può nemmeno partire perchè non hanno potuto riparargli la macchina subisce un’ingiustizia. Ed è una fattispecie che nemmeno va nella direzione dello spettacolo in pista che tanto preoccupa, giustamente, appassionati e dirigenti del motorsport. O no?