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Dopo diverse stagioni disputate con risorse finanziarie risicate, almeno per gli standard della attuale Formula Uno, alla vigilia del Gran Premio degli Stati Uniti, è arrivato il ritiro di Marussia e Caterham. I due team con base in Inghilterra ma con proprietà russa, la Marussia, e malese, la Caterham, salteranno anche la prossima corsa in Brasile, domenica.

In F1 dal 2012, sino al GP di Monaco 2014 entrambe le scuderie non avevano ancora segnato alcun punto iridato. Proprio lo sfortunato Jules Bianchi strappò nel Principato un incredibile posto che permette tutt’ora alla Marussia di trovarsi in 10^ posizione nel campionato costruttori. 2 punti che valgono dunque l’ingresso nei migliori 10 team che a fine stagione si spartiranno i premi in denaro, consegnati da Bernie Ecclestone.

A seguito però di difficoltà di budget annunciate da tempo, sia Marussia che Caterham hanno deciso di rinunciare alla doppia trasferta americana. La squadra russa di Chilton e Bianchi si ripresenterà solamente nella gara finale di Abu Dhabi; Ericsson e Kobayashi invece hanno chiuso la stagione 2014 a Soci.

Proprio lo scorso 5 novembre, la FIA ha diramato l’elenco con le preiscrizioni al Mondiale 2015. Tra queste ci sono anche quelle delle due scuderie appena ritiratesi. Sono diversi gli interpreti che gravitano attorno al management di Marussia e Caterham, quindi le porte restano ancora aperte con la speranza che i continui passaggi di proprietà trovino una fruttuosa conclusione.
Questi proprietari sono personaggi che hanno fino ad oggi svolto un ruolo di comparsa all’interno del Circus, tanto quanto le loro macchine sulla Griglia di partenza. Peter Sauber o Vijay Mallya, per esempio, sono proprietari di team di seconda fascia, ma sono spesso presenti tra i meccanici nei garage, se non sul ponte di comando dei propri muretti box.

Così, nel 17° appuntamento stagionale, 18 sono state le monoposto che si sono date battaglia lungo i curvoni texani. Considerando i 3 ritiri in corsa, al traguardo sono arrivate solo 15 vetture: il serpentone di macchine che affrontava in fila indiana la prima serie di curve in successione è parso monco, malinconicamente povero.
In Brasile, su un tracciato ancor più selettivo per piloti e macchine i classificati potrebbero essere ancor meno, con il paradosso di avere un punteggio che arriva a premiare sino al 10° classificato. Domenica ad Austin le nazioni rappresentate dai 18 piloti erano 11.
Invece 9 sono le scuderie rimanenti in F1 durante questa doppia trasferta americana.
Siamo veramente lontani dal Gran Premio di Germania del 1953, che vedeva 34 concorrenti alla partenza; oppure dal Mondiale del 1974, che registrava piloti provenienti da 19 Paesi diversi o dalle 18 squadre impegnate nei Gran Premi di Monaco e Canada 1989…

Motor Racing - Formula One World Championship - Monaco Grand Prix - Sunday - Monte Carlo, Monaco

Nel 2016 la Ferrari fornirà i motori a un team americano tutto nuovo, mentre la nuova tecnologia dei motori ibridi ha già riscosso l’interesse della Honda. I giapponesi infatti il prossimo anno torneranno nel Circus in grande stile, fornendo i motori alla Mclaren.
Il presidente della FIA, Jean Todt, ha avuto recenti contatti anche con Porsche, Audi e Toyota, scatenando chiacchiere su un loro prossimo ingresso nel mondiale F1. Anche la geografia rappresentata dai protagonisti sulla Griglia si sta allargando, con l’arrivo di piloti dai Paesi in via di sviluppo, come Russia o India.

Punto fondamentale è la qualità di questi nuovi arrivi. Sia come proprietà sia come piloti, spesso i nuovi “personaggi esotici” sbarcano nella massima serie dell’automobilismo mondiale per le risorse finanziarie che riescono a introiettare nel Circus, più che per competenze tecnico-sportive. Il rischio è di vedere comparsate, che durano fin quando i fondi ci sono, per poi svanire improvvisamente e spesso nell’anonimato.
Torna attuale la possibilità che i grandi team schierino nel 2015 una terza vettura.
Soluzione che potrebbe tamponare questa situazione difficile, anche se i “piccoli team” avevano un ruolo fondamentale: scovare e allevare i campioni che sarebbero poi andati a fare la fortuna dei top team, tipo Ferrari.
Fu il caso della Minardi (oggi Toro Rosso), vera palestra di campioni. I piloti italiani che per ultimi hanno corso in F1 avevano debuttato con la scuderia di Giancarlo Minardi. Anche Fernando Alonso e Sebastian Vettel hanno mietuto i primi chilometri con la scuderia faentina.
Spostandoci di qualche chilometro, in Svizzera, troviamo l’esempio della Sauber: negli ultimi anni il team elvetico è stato capace di lanciare Kimi Raikkonen e Felipe Massa.

Da ormai troppe stagioni il Circus subisce le critiche degli spettatori per via di regolamenti tecnico-sportivi cervellotici, volti esclusivamente al ridimensionamento dei costi per i team. Evidentemente tali manovre o non sono state sufficienti o non hanno pagato.
Il rischio, per la F1, è che di questo passo a diminuire non saranno le critiche degli appassionati, bensì le vetture sulla Griglia di partenza.

La Formula Magica