Formula 1 | GP Brasile 2017: Sebastian Vettel, l’orgoglio del fuoriclasse
San Paolo. “Sebastian Vettel vince il GP del Brasile”. Una frase che a sentirla pronunciare da tanta soddisfazione, una piccola liberazione per il vincitore, innanzitutto, per la Ferrari dopo ultimi mesi molto complicati. Un bollito per antonomasia, Kimi Raikkonen, che verbalmente, poi, oltre che in pista, sminuisce uno spocchioso Lewis Hamilton.
Finalmente ci siamo. Trattasi di briciole, per carità, eppure questa bella affermazione del cavallino rampante in quel di Interlagos ci sta a pennello. Un momento di gloria circoscritto nella globalità del discorso iridato, una relativa rivincita, soprattutto fuori dalla pista. Tante le critiche, pesanti, all’indirizzo di un quattro volte campione del mondo quale è Sebastian Vettel, alla Rossa che ha avuto evidentemente un lungo periodo no.
Ma la ruota della fortuna gira senza sosta, e questa volta il puntatore si è fermato sullo spicchio rosso con la stigmate di Maranello accompagnata dal numero 5. Si perché, di casualità potrebbe essersi trattato, visto che il tedesco è quel pilota che, d’improvviso, si fotte di paura quando si trova ruota a ruota con Verstappen, si fa infilare a destra e a manca quando parte in pole, si scaraventa nei guai quando si gioca, sempre in partenza, una gara già vinta. Lo stesso pilota molle di carattere, ed ovviamente di manico, che si sbarazza di Ricciardo e Verstappen in Cina. Sempre quello che ha fatto un sol boccone di Bottas in Bahrain, al Montmelò, ad Austin, ed all’imbocco della famosissima “S do Senna” nel pronti via, risolvendo la pratica vittoria in Brasile. Lo stesso pilota che allo scatto in Bahrain, nel corpo a corpo della prima curva al Montmelò ed allo start di Austin, parcheggia l’altro, fresco, quattro volte campione del mondo, Lewis Hamilton, che in Russia, Monaco ed Austria, bivacca chissà dove, chissà con chi, nel mentre del weekend.
In ultimo, Sebastian Vettel ha sofferto di poca lucidità, di lassismo, superficialità, e quant’altro, durante la sfida iridata, specie quando ha subito lo strapotere della vettura d’argento nei rettilinei di Montmelò, Kemmel, ed Austin. Ah, no, ha subito la straordinaria grandezza del campione del mondo 2017, pardon, al cospetto del quale sono briciole, appunto, le cinque vittorie, le cinque pole position, in lotta contro la Mercedes, alla guida di una Gina azzoppata in piena estate, affondata in pieno autunno, impotente sul piano power unit in innumerevoli occasioni. Proprio come quando a Baku dovette farsi in quattro con la sua SF70H, lungo l’autostrada di partenza, per tener dietro prima losche figure di power unit Mercedes dotate, poi il Re Nero. Lì dove, la cavolata dell’anno, la ruotata, lo ha bollato quale professionista incapace nel reggere la pressione. Un calderone iniziato a seguito di quel misfatto azero, ingigantito a dismisura, fagocitante tutto quanto, di buono e non, avvenuto, poi, fino al Brasile.
Insomma, facile ricordare sempre quello che si reputa più comodo ed opportuno, a seconda degli esiti, dei momenti, della più pura convenienza, concentrando le valutazioni in un orizzonte temporale ristretto e soggettivo. Piuttosto, fa strano che il vincitore d’annata conduca strenuamente una battaglia oramai inesistente, poiché chiusa, stravinta, a seguito di tangibile assillo perpetuo sui residui destini dell’ufficiale sconfitto. Un’ansia anomala, di prestazione, amplificata dall’erroraccio in qualifica alla Ferradura, evidente dai team radio in gara, dalle spavalde ed ineleganti dichiarazioni al parco chiuso, finanche nei confronti del soldato Valtteri. Forse, esasperato da quella realtà, parzialmente occulta ai non addetti ai lavori, secondo cui, nel Circus, tutti sanno tutto di tutti.
Un asset caratteriale ancora tipico del pilota inglese, contornato da puro delirio di onnipotenza per una rimonta, bellissima, buona per lo spettacolo, consistente cronometricamente nel recupero di poco più di una dozzina di secondi sul vincente, perdente. Su per giù, lo stesso distacco accusato gradualmente dopo il rientro della safety-car fino all’unica sosta sulla prima posizione virtuale, ahilui Vettel, mentre gongolava la mondovisione della sua sconfinata classe con, in mezzo, una decina di vetture sventurate da ridicolizzare. Un manipolo di comparse, rimaste sul suo palcoscenico appena dopo lo spegnimento dei semafori rossi, fino al monumentale muro finlandese rosso, che, in svantaggio di mescola, è stato l’Iceman che tutti conoscono.
Un comportamento evidente, figlio, probabilmente, di quella debolezza, insicurezza, di fondo, insite nel suo modo di essere. Entità assopite dalle disgrazie altrui, desumibili da oggettive esternazioni infelici, dalla ricerca spasmodica di esaltazione del suo talento. Per questo, una sorta di disturbo ossessivo compulsivo in agguato, che potrebbe venir fuori, prima o poi, in tutto clamore.