Formula 1 | GP Australia 2018: Proemio di stagione in nome della Ferrari

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© Scuderia Ferrari, Press Area

“Cantami, o Diva, del superbo Lewis Carl
l’ira funesta che infiniti addusse
lutti ai Tedeschi, molte anzi tempo all’Orco
generose travolse alme d’eroi,
e di pole e di vittorie orride disfatte
lor brame abbandonò (così di Enzo
l’alto consiglio s’adempìa), da quando
primamente disgiunse aspra contesa
il re de’ prodi Sebastian e il divo Lewis.”

Trattasi di volgare rimpasto letterario dell’opera delle opere, di innocente artifizio figurato. Venia a cotanta leggenda di Omero, il poeta dei poeti, l’ispiratore massimo in codesta sede, di codesta profana trattazione. Ciò non toglie quanto accaduto in quel dell’Albert Park di Melbourne, all’alba delle iridi 2018 della Formula 1. In riferimento all’andamento del weekend, all’esito della gara, ai pungenti teatrini dinanzi ai microfoni dei protagonisti dei podi di qualifiche e gara.

Ma proprio il poema per eccellenza, Iliade, si può trasfigurare nei semplici fatti consumatisi nella terra dei canguri. Lì dove, il Divo Lewis si lancia con la sua armatura argentata verso la prima, schiacciante, affermazione stagionale, a partire da una qualifica superlativa. Lì dove il prode Sebastian si trova a combattere contro un avversario all’apparenza invincibile, gonfiato smisuratamente dal recentissimo trionfo iridato 2017. Lì dove il caro, navigato, Kimi si erge a valido comprimario nella lotta contro l’incarnazione del pilota perfetto, a detta dei più, dell’opinione pubblica.

Un Divo, si, il #44 della griglia di partenza, carico a pallettoni in occasione del sabato di Melbourne, capace di strabiliare sul giro secco, esclusivamente per suoi, unici, sconfinati meriti. Capace di sbeffeggiare nel primo stint di gara un finlandese rosso all’attacco, riducendolo assieme alla sua arma relativamente appuntita, la buona Ferrari SF71H #7, a semplice comparsa della sua di epopea di gara.

Certo di aver, pronti via, battuto il suo vero rivale, quel pilota in Rosso, ancora alle prese con la conquista totale della sua nuova fidanzata. La vettura di cavallino rampante marchiata #5, rispondente amorevolmente al nome di “Loria”. La monoposto dell’irridente Sebastian Vettel.

Sempre e solo, Lewis Carl, lo stesso uomo trascesosi nell’Olimpo delle divinità delle corse, tanto da reputare il suo talento onnipotente, soppressore di eventuale vulnerabilità della sua di vettura. La Mercedes W09 EQ-Power+, una macchina apparsa perfetta, solo nelle sue mani, per questo, considerata irraggiungibile in ogni circostanza di pista. Lo strumento ultimo con lo quale avrebbe definitivamente cancellato il sorriso dalla faccia dell’indisponente rivale tedesco.

Ecco che l’alterigia prevale sulla ragione, annebbia la vista, la percezione nitida degli eventi in divenire. Gettando in una vincibile dimensione il connubio Hamilton-Mercedes, nonostante il vincente poker di re calato sull’asfalto australiano. Un poker d’assi, quello materializzatosi al muretto Ferrari, auspicato in umile attesa nel mentre dell’unica smazzata della partita. Giusto fin lì, in occasione dell’unico giro di soste, con il buon Ettore incarnatosi nelle sembianze di Raikkonen, uscito perdente dal confronto con Hamilton, impossessatosi di diritto della grandezza che fu di Achille.

Una battaglia farsa per scontato esito, una nuvola di fumo in cui il fratello di sangue dello sconfitto primogenito di Priamo ha potuto puntare il tallone del figlio di Peleo col suo dardo al veleno.

Paride colpisce, ancora una volta, rivivendo nelle membra di Sebastian.

Per poco più di metà gara quei vapori fuoriuscenti dal retrotreno di Loria hanno rivestito l’emblema della beffa comminata al campione del mondo.
Materia deteriorata, fumosa, insinuatasi nella sua mente, ad aggravare lo status di impreparazione all’imprevista situazione, a rafforzare il derivante sconforto. Il negativo trionfo della sua di presunzione.

Una lenta, inesorabile agonia, sfociante in una disperata invocazione degli Dei tutti della power unit Mercedes. Normali entità negative ratificatrici della chiusura dei giochi a sfavore del terreno Lord di Stevenage, intente a trasudare eccessivo calore, a sputare carburante sulla mancata riconoscenza, chiamata in causa, relativamente la quota parte di meriti in quel sublime giro da Pole Position.

Una conferma sui grigi di Stoccarda, al momento ancor quasi perfetti, visti quei guai improvvisi, quei livelli di allarme rientranti solo all’alzata forzata della pezza bianca quale resa incondizionata sul finire delle asperità. Nessuna immunita, manco per Mercedes. Non vi saranno prove di appello per gli errori di natura varia ed eventuale, per le sviste, per atti di sufficienza, in questa Formula 1 2018 ancor più densa di tranello e di inganno.

La scena è tutta di una Ferrari vittoriosa, nuovamente all’Albert Park, nonostante la posizione di svantaggio in termini prestazionali, una condizione apparentemente peggiore in cui venne lo scettro d’Australia 2017.

Per questo, un successo dalla valenza superiore, dal gusto, comunque, scarsamente sapido per manifesta inferiorità della nuova creatura di Maranello. Un deficit ancora inscindibile nel solo lato monoposto, l’oltre le questioni di adattamento del cavaliere di Germania. Quelle su una power unit condannata a progredire.
Eppure, l’australe G-Loria Ferrari sancisce la vittoria dell’umiltà sulla superbia, un sentimento in singolarità meno potente in termini di forza, pur sempre vincente in pluralità alla lunghissima.