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Analisi della redazione

Caso Schumacher-Hamilton: paragoni che non reggono

Sin dal primo momento in cui si è capito che Hamilton avrebbe avuto davvero la chance di raggiungere Schumacher, abbiamo assistito a vere e proprie gare di confronti e continui paragoni tra i due. Ma è davvero possibile farlo?

Il firmamento della Formula 1 è costellato da stelle che ne hanno fatto la storia. Mostri sacri capaci di spaccare le tifoserie o persino di unire gli appassionati più obiettivi; perché lo sportivo seppur con fatica sa andare oltre il tifo e dinnanzi a certi talenti c’è poco da fare, non resta che togliersi il cappello e fare chapeau. Di paragoni se ne fanno tanti, forse troppi, perché ci si basa su freddi numeri, che non potranno mai spiegare la bellezza di una prodezza, l’urlo di gioia di un tifoso dinnanzi a un sorpasso azzardato ma quasi insperato, ma anche la delusione per una bruciante sconfitta.

Il numero è pura statistica, non spiega chi è il pilota, l’epoca a cui è appartenuto, i propri valori e dolori, il modo di rapportarsi e di essere. Un numero non potrà mai spiegare cosa c’è dietro un carattere schivo o a uno espansivo, dietro uno sguardo inquieto o l’irrefrenabile voglia di migliorarsi costantemente. I piloti sono considerati quasi delle macchine da guerra progettati esclusivamente per vincere, ma il mondo che si cela dietro a quello sguardo nascosto dal casco va considerato. Infatti è il mix uomo/pilota a creare il mito, la leggenda che resta nonostante il tempo che passa.

Paragonare epoche, vetture, personalità sembra quasi una moda per molti, perché basandosi sui numeri sembra così semplice decretare chi sia il migliore. Ma un migliore assoluto non potrà mai esserci e l’analisi fatta parte da questo, perché c’è chi la storia l’ha riscritta eguagliando un record che sembrava impossibile da eguagliare, ma questo non giustifica affatto la malsana voglia di decretare a ogni costo chi sia il migliore assoluto, sminuendo le vittorie o prestazioni altrui.

LA BUONA STELLA DI SCHUMACHER

Raccontare la carriera di Michael Schumacher cercando di essere sintetici è un proposito difficile da realizzare e le principali motivazioni sono due. La prima, di carattere forse morale, è rappresentata dalla fama stessa del soggetto del racconto. Un semplice riassunto renderebbe pochissimo giustizia alla storia di una pietra miliare dello sport quale quella di Michael. La seconda è invece legata alla selezione delle informazioni. Quale aneddoto scegliere e cosa tacere invece dell’incredibile lasso di tempo che intercorre tra l’esordio a bordo della Jordan a Spa nel 1991 per arrivare al definitivo addio alle corse nel 2012.

Sciorinare statistiche e record risulterebbe decisamente anacronistico, anche per colpa di chi quegli stessi record li ha e continua a demolirli. D’altro canto, come già accennato, mettere semplicemente in fila luoghi e date risulterebbe invece una semplificazione fin troppo banale. Siamo sicuri di poter affermare però una cosa senza paura di essere smentiti. Durante tutto l’arco della sua permanenza nel Circus, così come fa una pietra in mezzo al mare, Schumacher ha assistito inamovibile al ricambio di marea generazionale. La sua buona stella ha funto da traghettatrice, guidando la Massima Serie tra le epoche.

Per capire quanti talenti siano passati sotto gli occhi di Michael possiamo provare a fare un negativo del suo percorso, ricordando contro chi il tedesco era chiamato a fare a sportellate. In quel lontano pomeriggio del 25 agosto ’91, mentre Schumacher occupava la settima piazza, in griglia erano presenti allora nove titoli mondiali da ripartire tra Ayrton Senna, Alain Prost e Nelson Piquet. Quando nel ’92 conquista la sua prima vittoria, sul podio con lui c’è Nigel Mansell, futuro vincitore di quell’edizione. Nel ’94 vince il primo mondiale contro Damon Hill. Nel ’95 si ripete contro Hill e Coulthard.

I primi anni in Ferrari sono difficili. Nel ’96 vince Hill e nel ’97 da Villeneuve. Nel biennio ’98-’99 a mettergli i bastoni tra le ruote ci pensa un certo Mika Hakkinen. Quelli saranno gli ultimi anni di tribolazione per Michael. Dal 2000 al 2004, anni dell’esordio di Mark Webber e Jenson Button, vince ininterrottamente il campionato piloti, prendendosi la rivincita su Hakkinen e battendo piloti del calibro di Alonso, Montoya e Raikkonen. Il cambio di regolamenti del 2005 non è favorevole alla Ferrari che comunque riesce a mettere in difficoltà la Renault.

SCHUMACHER-HAMILTON: IL FILO ARGENTATO CHE LI LEGA IN PISTA

Alla fine del 2006 arriva il primo ritiro, anno dell’esordio di Nico Rosberg, della prima apparizione di Sebastian Vettel alla guida di una Formula 1 e dell’ultima stagione senza Lewis Hamilton. Nel 2010 il Kaiser capisce di averne avuto abbastanza e di voler tornare a fare quello che sa fare meglio, correre. Il tedesco fa il suo secondo debutto, stavolta in Mercedes, raccogliendo però pochi successi. Nel triennio con la scuderia di Stoccarda Schumi vede esordire Daniel Ricciardo, il connazionale Nico Hulkenberg, Sergio Perez. Ritrova gli storici rivali Raikkonen e Alonso, protagonisti della Formula 1 odierna. Il contributo più grande, forse, è stata però la contribuzione alla creazione di quella fabbrica di successi che è oggi la Mercedes.

Durante tutto l’arco della sua carriera la meticolosità è stata uno dei marchi di fabbrica di Michael. Grande collaudatore e perfezionista, chiunque lo abbia conosciuto ha raccontato di quante ore passasse a studiare ogni singola parte del tracciato e della macchina per riuscire a salire più di tutti su un cordolo o strizzarne fuori fino all’ultimo cavallo. I suoi feedback per gli ingegneri erano materiale prezioso, la sua guida pone il sigillo finale. Se i meccanici lo adorano, lo stesso non si può dire dei suoi colleghi. Forse è proprio questo il lato più oscuro di Michael, quello che forse lo fa apparire più umano.

In pista si fa valere ricorrendo se necessario anche alle maniere forti, chiedere ai vari Hill, Barrichello e Montoya, accompagnati fuori pista, verso il muretto o addirittura costretti al ritiro. Quando vince, lo fa in grande stile, quando perde fa sì che tutti sappiano quanto fosse scontento. Dichiarazioni al vetriolo, conferenze stampa spinose e battibecchi fin dentro i garage degli avversari sono scene ordinarie con Schumacher. Ogni singola curva dipinta su un tracciato e ogni singola parola pronunciata dal campione tedesco ha rappresentato un tassello dell’enorme mosaico chiamato Michael Schumacher, uno dei più grandi di sempre.

IL MITO E LA LEGGENDA MICHAEL SCHUMACHER: UN’EREDITA’ PREZIOSISSIMA

Michael Schumacher è una leggenda, per qualcuno un idolo. Per alcuni è il Kaiser e per altri Schumi. Per gli appassionati della Formula 1 è semplicemente un pilota che ha scritto la storia di questo meraviglioso sport. Ha corso per quattro team diversi collezionando 7 titoli mondiali, 91 vittorie, 155 podi, 68 pole position, 77 giri veloci e 1566 punti. Ma è rimasto molto più di qualche semplice numero. Ci ha lasciato un’eredità importante fatta di imprese sì, ma anche e soprattutto di emozioni.

Spesso ci illudiamo del fatto che possano essere delle statistiche a dirci quanto grande un pilota sia e quale sia il migliore di tutti i tempi. Ci dimentichiamo che, alla fine, il motivo per cui seguiamo la Formula 1 non è il numero di vittorie o podi, bensì le emozioni che proviamo. Michael non è ricordato solo perché è diventato il primo pilota al mondo a ottenere sette titoli mondiali; viene ricordato perché, a modo suo, è stato unico. E’ stata proprio la sua unicità che ha conquistato i cuori di milioni di fan sparsi in tutto il mondo. Del tedesco colpisce la personalità e il carisma che lo contraddistinguono.

SCHUMACHER-HAMILTON: IL TALENTO CHE LI CONTRADDISTINGUE

Ho sempre creduto che non si debba mai, mai rinunciare e si debba sempre continuare a lottare anche se c’è soltanto una piccola possibilità“. Credo che questa sua frase racchiuda tutta l’anima dello Schumacher pilota. Ha sempre avuto la mentalità del campione, non ha mai corso solo per passione. Nella sua carriera ha corso per fame di vittoria e poi per quella di dominio. Non si è mai arreso e ci ha sempre creduto, anche quando sembrava essere finita. Se c’è una cosa che lo rendeva speciale in pista era quella di far sembrare anche le cose più difficili e impossibili estremamente facili e fattibili. Come solo un leader sa fare, quando è approdato in Ferrari, ha preso per mano il team.

L’ha ricostruito nell’animo fino a portarlo nuovamente alla gloria. L’adrenalina, la voglia di successo e il duro lavoro hanno caratterizzato gli anni d’oro del team di Maranello, che deve molto al pilota tedesco. Da molti è stato giudicato intimidatorio, arrogante e sopravvalutato nei confronti dei rivali. Eppure noi lo ricordiamo come un guerriero determinato, dall’animo focoso e dal sorriso gentile. Caratterizzato da un talento puro e genuino e dalla determinazione di chi ha sempre lottato per i suoi sogni. La forza e il coraggio di chi è partito dal niente e ha deciso di scommettere su se stesso. Sin da bambino, Michael non ha avuto paura. Lui non ha mai avuto paura di sognare e di farlo in grande.

NON ANDARE VELOCE! NON SEI MICA SCHUMACHER!“; UN NOME ENTRATO NELLA STORIA DI OGNUNO DI NOI

Nella sua carriera non è stato sempre perfetto, ha commesso errori. A volte ha mancato l’obiettivo e ha visto sfumare vittorie importanti. E’ caduto e si è rialzato, sempre e rigorosamente più forte di prima. Forse è stato questo a renderlo uno dei più grandi piloti di sempre. E’ difficile cercare di capire quale davvero sia la grandezza di Schumacher. Qualcuno parla di talento, altri dicono la dedizione. Il suo talento è innegabile, ma non è certamente l’unica cosa che lo ha reso ciò che oggi è. Per vincere non basta avere il piede pesante e la macchina giusta. Il Kaiser la differenza la faceva con il duro lavoro e il cuore. Lui non dava il 100%, bensì il 250%.

Schumi non lavorava per ottenere una vittoria, ma lottava per affermarsi e riconfermarsi. Non esiste bambino al mondo che non conosca il nome di Michael Schumacher, ecco qual è la sua grandezza. Il fatto che sia riuscito per primo ad avvicinare bambini e adulti di nazionalità diverse ad uno sport che fino ad allora non era popolare. Quante volte abbiamo sentito dire “Non andare veloce, non sei mica Schumacher”? Quante volte abbiamo associato al logo della Formula 1 l’immagine di Michael che salta sul podio? Il Campione tedesco non è diventato solo una leggenda, ma anche una vera e propria icona.

Ha dato un senso alle domeniche e ha reso straordinario l’ordinario. Riconosciuto da tutti e accerchiato dai giornalisti sempre pronti a intervistarlo. Tanto star sulla pista, quanto uomo umile e riservato nella vita privata.Schumi non è solo il sette volte Campione del Mondo che ha riscritto la storia della Formula 1. Ma è in primo luogo un uomo, un marito e un padre. Michael pilota e uomo sono due facce diverse della stessa persona. La versione cruda, aggressiva e affamata che abbiamo visto in pista si alterna a quella più dolce, protettiva e gentile.

DIFFERENZE E ANALOGIE

In Schumacher, un pilota da una personalità spiccata si contrappone a un uomo semplice come tanti. Dedito alla famiglia e appassionato agli sport, attento ai cambiamenti e alla popolazione più povera del mondo, sempre pronto a dare il suo contribuito e a fare la differenza, anche se agendo nell’ombra e nel silenzio. Un uomo dai valori e dai principi saldi, ha sempre cercato di mantenere riserbo nei confronti della sua amata famiglia, anche se spesso l’abbiamo vista nei box per supportarlo; li ha sempre protetti dalla pressione mediatica.

Perché la famiglia è il luogo in cui potersi lasciar andare, farsi circondare d’amore e ​ricaricare le batterie. Tenace, resiliente, immenso, forte, veloce sono solo alcuni degli aggettivi che vengono usati per descrivere Michael Schumacher. La realtà è che non ne esiste uno che possa rappresentarlo pienamente. Schumi è unico, proprio come Lewis. I loro numeri possono essere simili, e per certi tratti anche la loro personalità. Tuttavia, riescono a mantenere una peculiarità che li distingue, un po’ come fanno l’acqua e l’olio insieme: si toccano ma non si uniscono mai.

SCHUMACHER-HAMILTON: CONFRONTI AZZARDATI? LA GENERAZIONE MERCEDES

Dicono che non si possa apprezzare il presente senza conoscere il passato. Chi non conosce l’incredibile storia di Schumacher non può capire davvero il significato dell’impresa raggiunta da Hamilton domenica in Turchia.Due personaggi così lontani e paradossalmente così vicini. Siamo la generazione che è cresciuta con il mito del Kaiser. Da piccoli ci siamo abituati a vederlo sul gradino più alto del podio con la tuta Ferrari.

A sentire l’inno italiano preceduto da quello tedesco. Non avevamo certezze, eppure, alla domanda “Chi guida la macchina rossa?rispondevamo fermamente con uno strano accento: Michael Schumacher. Questo weekend, invece, abbiamo assistito a un nuovo capitolo della storia della Formula 1. Abbiamo assistito alla nascita di quella generazione che crescerà nel mito di Lewis Hamilton e della Mercedes.

HAMILTON E IL SETTIMO TITOLO MONDIALE

Ne ha fatto di strada il pilota di Stevenage da quando la strada del Motorsport si è intrecciata con quella della sua vita. Non solo è riuscito a diventarne parte integrante, ma si è reso anche protagonista a 360° di un incredibile viaggio che gli ha garantito l’accesso diretto nell’Olimpo dei grandi. In questo Olimpo Lewis Hamilton non solo ha scritto la sua parte di storia, facendosi spazio tra i mostri sacri della Formula 1, ma ha designato l’inizio di un’epoca.

Epoca che prende il suo nome, perché macinando record su record ha eguagliato colui che sembrava inarrivabile persino nei pensieri. I record sono fatti per essere battuti, così afferma Michael Schumacher e seppur paragonarli sembra pura eresia, perché le epoche, i modi di fare e di essere sono nettamente differenti e forse anche contrapposti, sarebbe curioso ricercare eventuali analogie e similitudini che possono esserci tra due campioni di tale calibro.

CASO SCHUMACHER-HAMILTON: PARAGONI CHE NON REGGONO

Hamilton è stato il primo pilota di colore a vincere il titolo iridato, costruendo la sua carriera in McLaren sin dai tempi del kart. L’innata velocità e la capacità di effettuare sorpassi fulminanti sono tra le caratteristiche che l’hanno sempre contraddistinto. Ma l’Hamilton uomo e quello pilota sono stati segnati dalla piaga sociale che affligge ancora adesso l’attuale società: quella del razzismo. Il pregiudizio nei suoi confronti l’ha perseguitato sin dai tempi dell’esordio, ma è stato in grado di andare oltre, tramutando le ingiustizie in una furia agonistica senza eguali, che l’ha portato a voler essere vincente a ogni costo. La popolarità ottenuta l’ha portato a voler sensibilizzare costantemente le coscienze non solo su tale piaga.

Ma anche sulle tematiche più disparate, di cui si è fatto portavoce. Non si è mai nascosto dietro a nulla, ma ha sempre esposto i suoi pensieri e prese di posizione anche in modi non condivisi da molti, ma che hanno avuto sempre l’effetto sperato, cioè scuotere anche le menti più scettiche. Basti pensare a come è riuscito a trascinare l’intero Circus nella battaglia contro il razzismo. La sua peculiarità è infatti anche questa: riuscire a farsi portavoce di piaghe sociali per sensibilizzare il mondo intero, non pensando alle critiche che potrebbe ricevere. Migliorarsi costantemente sia nella vita che in pista è la prerogativa che lo contraddistingue e lo porta a essere sempre oltre il limite.

HAMILTON: DALL’INFANZIA DIFFICILE AI SOGNI DI GLORIA

Una storia partita da lontano, in quel 2007 dal sapore dolceamaro, intessuto su un’ampissima tela fatta di indelebili ricordi, belli ma anche tanto dolorosi, come quel rocambolesco lungo in Cina che lo ha portato a dire definitivamente addio al sogno mondiale, il primo, a soli 22 anni. Ma l’indomito Lewis non ha perso tempo e, appena la stagione successiva, ha conquistato quel tanto agognato titolo iridato, che ha fatto da apripista a una sfilza di successi e record infranti che nemmeno lui poteva immaginare.

Un racconto che affonda le sue radici tra le braccia di una famiglia umile, in un’anonima cittadina della periferia inglese, dove, se vuoi davvero qualcosa, te lo devi guadagnare col sudore della fatica. E così ha fatto Hamilton, spalleggiato da un padre sempre in pole position per realizzare i sogni di un figlio appassionato e promettente. Lo aveva detto il piccolo Lewis:Un giorno, sarò su una macchina di Formula 1e ci è riuscito.

Domenica ha stretto tra le mani il sogno del settimo mondiale in carriera, eguagliando un certo Michael Schumacher, il pilota più vincente di tutti i tempi. Ma a Lewis queste cose interessano fino a un certo punto, perché quel che conta davvero, alla fine, non sono dei semplici numeri da ricordare a memoria, quanto le fitte storie di vita che si nascondono dietro ognuno di noi. E il sette volte campione del mondo ne ha una proprio bella da raccontare, al di là di facili e scontati paragoni troppo semplicistici, che servono solo a diluire le lunghe e chiassose trasmissioni televisive o i ripetitivi articoli che si leggono online.

Perché si sa: viviamo in un’epoca in cui conta di più avere la notizia fatta e finita, pronta per essere data in pasto agli avidi amanti dei click, piuttosto che fermarsi un attimo ad accogliere la bellezza di una realtà che conosciamo poco o affatto. Una realtà che si spinge ben oltre il dorato e magico mondo della Formula 1, nella quale e alla quale Hamilton è altrettanto impegnato e dedito. E’ una di quelle persone che non lascia certo le cose a metà: se una passione chiama, lui la porta fino in fondo, con tutto se stesso.

LE TANTE SFUMATURE DI LEWIS: DALLA FAMIGLIA ALLO SHOW BUSINESS

Un uomo poliedrico, che, da poco, non ha più così paura di mostrarsi per quel che è davvero: pilota acclamato, pianista autodidatta, stilista, DJ in incognito (ora non più), appassionato di cinema, amante degli animali, attivista convinto e star dello show business. Allo sportivo preciso e insaziabile, impegnato in pista in giro per il mondo, affianca con sorprendente nonchalance l’immagine del pacato e semplice bravo ragazzo, molto legato alla famiglia, con il giocherellone cane Roscoe sempre al suo fianco. A fare il tifo per lui due mamme, come lui stesso ricorda spesso (quella biologica, Carmen, e la seconda moglie del padre, Linda, ndr) e un legame tanto speciale con i suoi fan.

Fan che coinvolge ogni giorno tramite i social, anche solo per un messaggio positivo, che fa scappare un sorriso. Spesso accusato di ipocrisia e incoerenza, Lewis non si è mai lasciato scalfire da certe critiche; ha anzi continuato a testa alta a perseguire i suoi obiettivi, credendoci davvero. Non che in tutto questo il suo lato umano non sia mai emerso, sia chiaro. E’ successo anche che manifestasse il suo rammarico per come vanno le cose nel mondo, la sua tristezza e delusione digitando parole di rabbia e risentimento sulla tastiera del suo IPhone, cercando un disperato segnale da chi lo segue fedelmente da anni.

UN SINCERO MODELLO DI VITA

Lewis è ormai un uomo di 35 anni, maturo, con tantissima esperienza alle spalle, anche pesanti come il bullismo subito durante infanzia e adolescenza, ma che, fondamentalmente, ha sempre voluto mostrare le sue fragilità di essere umano, senza vergogna; perché noi siamo fatti così: forti, determinati, ma a tratti anche piccoli e terribilmente insicuri. Un uomo, molto più che vincente pilota di una vincente scuderia, che si è posto come modello senza la presunzione di esserlo per davvero. Ha riflettuto, è cambiato, così come sono cambiati i suoi punti di riferimento negli anni, e ha creduto fosse giusto condividere questo percorso interiore con chi, forse, è ed è stato meno fortunato in questa infinita ricerca del vero Io.

Come biasimarlo? Vi è mai successo di credere talmente tanto in qualcosa da volerlo urlare al mondo? Così come è accaduto con la sua linea di moda street style, in collaborazione con il noto stilista americano Tommy Hilfiger, che mira a unire stile, originalità e sostenibilità in un unico marchio. Sì, perché il campione inglese ha molto a cuore l’ambiente e, anche attraverso magliette di cotone organico, pantaloni di jeans riciclato, cappelli e zaini griffati, cerca di sensibilizzare il suo pubblico, e non solo, alla salvaguardia del nostro fragile pianeta. Insomma, non è affatto semplice descrivere un simile personaggio in poche parole. Altrettanto complesso è poi azzardare rischiosi paragoni con chi ha fatto parte di un’epoca distinta, da tutti i punti di vista la si voglia guardare.

CIO’ CHE E’ ADESSO NON CANCELLA CIO’ CHE E’ STATO

Michael Schumacher ha rappresentato e continua a rappresentare un pezzo enorme di storia, che nessuno di noi dimenticherà mai, né vuole farlo. Questo perché ciò che è adesso non cancella ciò che è stato. Sono belli i confronti, interessanti i numeri da ricordare, i record da mettere in fila, in ordine, uno dopo l’altro, in questa infinità di eventi, che un po’ ci destabilizzano e confondono. Ma siamo sicuri che finisca tutti qui? Vogliamo davvero limitare questi grandi nomi, le loro storie e personalità a un singolo numero su uno schermo?

Le conquiste, gli ostacoli superati, gli errori e le loro evoluzioni sono figli di realtà diverse, esperienze differenti, scelte e non scelte di vita che si intrecciano tra loro in maniera imprevedibile. Sarebbe perciò sbagliato guardare solo ai titoli vinti e alle gare corse in testa come l’unico riassunto possibile della grandezza di chi abbiamo di fronte. Farlo sarebbe un po’ come rinnegare l’unicità dell’uno e dell’altro. Il paragone forzato, la necessità di trovare a tutti i costi il migliore e il peggiore ovunque rischiano di non rendere merito a due grandissimi della Formula 1, destinati a segnare due epoche di questo incredibile sport, senza per questo pestarsi i piedi a vicenda.

Sabrina Aceto
Matteo Tambone
Chiara De Bastiani
Emanuela Aceto
Erika Mauri

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Redazione