Credits: Pirelli Press Area
Vedere scoppiare due gomme, in pieno rettilineo, con le macchine lanciate a tutta velocità fa davvero un brutto effetto. E i manager della Pirelli si saranno sentiti mancare il terreno sotto i piedi, quando hanno visto in frantumi la vettura di Stroll e poi addirittura del capofila Verstappen. Hai voglia a verificare le origini della foratura e le cause vere degli incidenti. Il pubblico “mondovisivo” vede una sbandata in rettilineo e una gomma a terra, e la percezione è di quelle che a livello pubblicitario non fanno certo bene all’immagine del costruttore in questione. A maggior ragione se il capoclassifica scende a la prima cosa che fa è prendere a calci il sofisticatissimo prodotto della casa milanese.
Le prime analisi scagionano la Pirelli. La gomma, in entrambi i casi, si è tagliata per la presenza di detriti, che hanno causato un danneggiamento anche su uno pneumatico di Hamilton. E d’altra parte la posteriore sinistra a Baku non è certo sollecitata, quindi il teorema regge. Però un dubbio viene, circa la qualità di queste gomme, che non solo per responsabilità della Pirelli sono diventate da qualche anno il fattore più importante nella disputa tecnica. E la curiosità cresce all’avvicinarsi di Silverstone, la pista più dura di tutte, quella dove in passato si sono registrati numerosi cedimenti. La pietra d’argento è il “terrore dell’anteriore sinistra”, basti ricordare in che condizioni Hamilton ha tagliato il traguardo nella scorsa edizione.
Ma insomma queste gomme Pirelli vanno bene oppure no? Per esprimere un giudizio la prima cosa da fare è lasciare abbassare i battiti cardiaci dopo aver visto due sbandate tra i muretti a trecentoventi all’ora. Ecco, ora che si è calmi e lucidi e che tutto è andato per il verso giusto vediamo un po’ che cosa venne chiesto qualche anno fa al fornitore italiano.
Era il 2011 quando il monopolio della fornitura fu offerto alla Pirelli, che accettò subentrando alla Bridgestone. Il bello è che da allora ogni autodromo è tappezzato dagli striscioni pubblicitari della casa italiana. Il brutto è che la Federazione, alla ricerca di trucchetti per animare la competizione, chiese degli pneumatici piuttosto “intelligenti”. Le mescole dovevano differenziarsi per permettere strategie alternative. Dovevano degradarsi per costringere a cambi gomme imprevisti (chi non ricorda il 2012, quando in pochi giri le prestazioni poteva anche calare improvvisamente di 5 secondi al giro?). Dovevano insomma essere un’ulteriore elemento di incertezza, a dire il vero piuttosto velleitario, per ridare un po’ di verve a gare troppo “processionali”.
E adesso, dopo quasi un decennio, sarebbe il momento di trarre un giudizio. I fatti: il comportamento delle gomme Pirelli è quasi incomprensibile. I team impiegano praticamente tutto il tempo delle prove libere per cercare di capire come reagiscono, se si riesce a farle funzionare nella giusta finestra termica, se reggono per almeno metà gara oppure occorre studiare una strategia con più di una sosta. E spesso iniziano la gara senza nessuna certezza, se non quella che al pilota verrà chiesta molta attenzione nel “tyre management”.
Inoltre ogni pista fornisce sollecitazioni diverse e quindi c’è da aspettarsi che quello che è successo a Baku possa ribaltarsi al Paul Ricard…oppure no. Per dire: ora tutti ad esaltare la RedBull degli ultimi due gran premi ed evidenziare come la Mercedes faccia fatica a scaldare gli pneumatici. Ma ci siamo dimenticati già di quello che ha combinato Hamilton in Spagna? Su un circuito più duro con le coperture la stella d’argento ha letteralmente volato, permettendosi una strategia alternativa a dir poco rischiosa, eppure vincente.
E allora va dato un verdetto di colpevolezza solo parziale: la Pirelli fornisce un prodotto “critico”, di difficile adozione, e purtroppo non esente da clamorose defaillances. Ma, poveretti, è stato chiesto loro davvero di lavorare sulle uova, e con input complessi e spesso contrastanti.
E dopo questo sentenza cerchiobottista…aspettiamo Silverstone.