La storia di Lewis Hamilton, campione del mondo 2014 25 Novembre 2014 Giuseppe Lucera Ogni pilota ha la sua firma riconoscibilissima, il suo marchio di fabbrica, quella tecnica di guida che lo rende speciale e ci preannuncia la sua storia. Famosa era la reattività di Schumi con l’avantreno e la sua celata tecnica di controllo della vettura tramite un sofisticato gioco di piedi utilizzando freno e gas. Altrettanto famosa era la tecnica di Alonso ai tempi della Renault, quel sottosterzo forzato che bilanciava perfettamente la sua monoposto in curva che gli dava una trazione e un’accellerazione che il ben più “pulito” Fisichella non otteneva. Il segno di riconoscimento di Lewis Hamilton si manifestò nel Gp di Monaco del 2007, ovvero quando iniziò ufficialmente la rivalità tra lui e, l’allora suo compagno di squadra, Fernando Alonso. Quando Lewis al giovedì si presentò al tornantino del Loews facendo partire leggermente il retrotreno della sua McLaren in un punto del mondiale di F1 in cui è quasi scientificamente provato che non si possa sovrasterzare, ci si rese conto che questo ragazzo poteva essere solo due cose: uno smanettone al limite del tamarro oppure un campione. Lewis Carl Davidson Hamilton nasce a Stevenage, sobborgo a nord di Londra, il 7 gennaio del 1985. Ben presto matura la passione per i kart e viene assecondato, in questo, dal padre Anthony che, tra mille sacrifici, riesce a procurare quel minimo di budget necessario affinchè il suo giovane figlio possa continuare a sperare nel sogno di diventare un pilota professionista. Proprio papà Anthony sarà colui che sceglierà la livrea che caratterizzerà il casco di Hamilton, quel giallo acceso che a molti ricorda il mitico casco di Senna ma che per Hamilton senior altro non è che un modo semplice ma efficace per poter riconoscere il proprio figliuolo nella mischia del gruppone durante le prime, concitate fasi delle gare sui go-kart. Nel ’95 è campione britannico, nel 2000, campione europeo. In questi anni passati tra i vari kartodromi d’Europa, conosce buona parte di quella generazione di piloti che ha caratterizzato la seconda metà degli anni 2000: Kubica, Rosberg e tanti altri. Sempre in quegli anni si forma la bella favola che un pò tutti conosciamo, cioè quella di un bambino di 12 che un giorno incontra Ron Dennis, gli chiede un autografo e poi, con apparente arroganza, dice: “Un giorno vorrò correre per te!”. “Chiamami fra qualche anno”, risponde Dennis. L’allora boss della McLaren mantiene la promessa e, a distanza di 3 anni firma un contratto per la McLaren. Il giovane Lewis, quest’aria da bravo ragazzo, quest’umiltà da periferia, da chi non ha tutto garantito come, invece, spesso avviene nel mondo delle corse, se la porta per buona parte della sua carriera, nonostante i suoi successi in Gp2 (nella gara di Istanbul mostrò una superiorità imbarazzante). Quella stessa Gp2 che, l’anno prima aveva vinto proprio Nico Rosberg, il suo vecchio amico ai tempi dei kart. La storia di Hamilton sembra un racconto alla Dickens, solo un pò più moderna e interazziale. Questa faccia da bravo ragazzo umile è la stessa faccia che presenta nell’anno del suo debutto in F1, l’anno in cui avrebbe dovuto fare da scudiero a Fernando Alonso. Ma, come già detto, a Montecarlo iniziò a solleticarlo quell’aspetto un pò bastardo che ogni campione possiede. Pensò, sostenuto dalla squadra intera, di sfidare Alonso stesso. Quel giorno a Montecarlo le prese ma la sfida proseguì nei Gp successivi e portò a picchi di tensione come quelli di Budapest, Spa, Indianapolis, Fuji, il dramma dell’insabbiamento a Shangai (poco prima della pit-lane) e, infine, il Gp finale, il Gp del Brasile. Cosa avesse fatto spegnere il motore della sua McLaren dopo una dura scordolata, è ancora un mistero. Sta di fatto che quel giorno regnò il caos più totale e Lewis perdette l’occasione di vincere il mondiale al suo anno di debutto, a favore del ferrarista Raikkonen. L’anno successivo non fu tanto più semplice per Hamilton. Ma fortuna volle che quell’anno, la prima parte della stagione fosse a favore di Raikkonen, la seconda a favore di Massa, mentre Hamilton era sempre una costante. Ancora una volta si giunse a San Paolo per la sfida decisiva e priva di appelli. Quella gara, per quanto possibile, fu ancora più convulsa e drammatica di quella dell’anno precedente. Ancora una volta il braccino si impossessò di Hamilton e il britannico, scivolato nelle retrovie, non riusciva a reagire mentre Massa volava in testa e faceva sognare il Brasile intero. Poi, all’ultima curva, Lewis trovò la forza necessaria per passare Glock e artigliare quei pochi ma necessari punti per diventare campione del mondo, tagliando il traguardo proprio mentre Titonio Massa festeggiava perchè pensava che quella quarantina di secondi in cui suo figlio Felipe era stato campione del mondo sarebbero durati per sempre. Lewis si toglie il casco: è devastato. Svuotato. Sull’orlo di un collasso psichico. Ma è campione del mondo e per tutti, quel successo sarà il primo di tanti altri. Il primo sigillo di un predestinato. E invece la vita è strana. Nel 2009 Ross Brawn rileva la Honda al prezzo di una sterlina, trova in un cassetto un progetto geniale fatto da un anonimo ingegnere nipponico, lo applica alla sua neonata Brawn Gp e sbanca il mondiale. A dominare, questa volta, un’altro britannico: Jenson Button, l’altra faccia di Albione. Quella bianca, tradizionale, composta. Un pò alla James Bond, ma meno cattivo. Poco male per Hamilton che si consola con i contratti milionari, con la notorietà, i vip e la sua bella Nicole Scherzinger con la quale inizia una turbolenta relazione che dura tutt’ora, e con le due vittorie di quel 2009, Ungheria e Singapore. Seguiranno stagioni altalenanti: il 2010 in cui lotta insieme ad Alonso e Vettel per la vittoria mondiale, il 2011 in cui coglie delle vittorie significative ma che lo tengono lontano dalla vetta del campionato del mondo, il 2012 in cui inizia bene, vince nei suoi “feudi” Canada, Ungheria e Italia, mentre nel 2013 dovrà accontentarsi di una sola vittoria. In tutti questi anni, però, una costante: Hamilton mostra sempre una fame enorme, esagerata che lo contraddistingue come pilota irriducibile, aggressivo, al limite ma anche, a volte, scorretto. La sua carriera è sempre stata segnata da tante piccole e grandi polemiche. Il razzismo dei tifosi spagnoli nei suoi confronti, il tamponamento di Raikkonen in pit lane, le scorrettezze in pista, le polemiche con la FIA, le bugie dette ai marshall in Australia, la lite con suo padre/manager e tante altre cose. L’immagine del bravo ragazzo, negli anni, scompare definitivamente. Ora Lewis ha quella del rapper “badass”. Ma questa cattiveria sembra fargli allontanare la vittoria piuttosto che avvicinarla. L’allora nuovo compagno Button (che, secondo molti, doveva fare da agnello sacrificale a Hamilton) mette varie volte in grave difficoltà Lewis. Poi nel 2013 arriva la rottura con la McLaren e l’arrivo in Mercedes. Dopo il primo anno di apprendistato, nel 2014 la Mercedes è pronta a vincere e questo significa che la sua antica amicizia con Rosberg (suo nuovo compagno) deve giungere per forza alla fine. E quest’anno, come nell’anno del suo debutto, il 2007, ad aprire le danze delle polemiche, la guerra tra i due, fu Montecarlo. Da lì in poi è stata ferocia tra i due piloti delle stelle d’argento sebbene il management Mercedes abbia gestito il tutto nel migliore dei modi. Ora Lewis sembra aver trovato un pò più di pace o, più semplicemente, di calma. Chissà che questo secondo titolo non lo cambi ancora di più rispetto al primo conquistato nel 2008. Se ciò dovesse avvenire, spero solo che cambi l’Hamilton senza tuta e casco. Quello dentro a una monoposto, in fondo, ci piace così. Un pò smanettone, un pò incazzoso, sempre pronto a far girare il dietro della sua monoposto ad ogni curva. Avrà solo un pò di consapevolezza in più adesso che si ritrova in tasca un secondo, meritatissimo titolo mondiale. Tags: 2014, Felipe Massa, Fernando Alonso, Jenson Button, Kimi Raikkonen, Lewis Hamilton, McLaren Honda, Mercedes AMG Petronas, Nico Rosberg, Nicole Scherzinger, Ron Dennis