Ferrari americana! E se l’obiettivo di Sergio Marchionne fosse trasferire la Rossa a Detroit?

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Ferrari nel bel mezzo di una crisi sotto tutti i punti di vista, non solo tecnica o sportiva ma anche a livello dirigenziale. Se le cose sembrano effettivamente continuare su questa strada a Maranello si chiuderà un’era che conta 118 vittorie e 14 titoli (di cui 8 costruttori) ottenuti in 23 anni al comando. Sono passati due giorni dal disastro che ha visto protagonista la Ferrari a Monza e dalle dure parole esposte da Sergio Marchionne nei confronti di Luca di Montezemolo. L’AD del gruppo Fiat-Chrysler lunedì è stato avvistato in quel di Maranello, ufficialmente per il consiglio di amministrazione Philip-Morris, sponsor del Cavallino Rampante, anche se voci di corridoio parlano di un possibile confronto proprio col numero uno di Maranello. Il disastroso Gran Premio d’Italia ha rappresentato un punto di rottura tra i vertici della Rossa. Rumors erano già iniziati a girare le scorse settimane, quando si è iniziato a ipotizzare la fuori uscita di Montezemolo dalla Ferrari a seguito della nomina a capo della nuova Alitalia-Etihad, nata soprattutto grazie alla sua mediazione.

Non è chiaro se il manager bolognese e Marchionne si siano incontrati e soprattutto di cosa abbiano parlato. L’AD del gruppo Fiat-Chrysler da Cernobbio è stato chiaro, non possono interessare solo i risultati economici ma anche quelli sportivi. Si, perché volenti o nolenti la Rossa non sale sul tetto del mondo ormai dal lontano 2008, quando a perdere il titolo all’ultima gara fu Felipe Massa a favore di Lewis Hamilton. Dopo Monza la pressione è salita, nonostante lo stesso Montezemolo abbia smentito recisamente l’ipotesi di un suo abbandono sottolineando come fino al 2017 resterà alla guida della Ferrari. Ma a Maranello potrebbero andare in scena i titoli di coda di un’epoca, la fine, perché quasi 10 anni di insuccessi non possono restare impuniti agli occhi della Chrysler, forse più per questioni commerciali…

Quando al comando c’era ancora Enzo Ferrari, il quartier generale di Maranello era considerato al pari del Cremlino, una Torre inespugnabile, il simbolo dell’orgoglio Ferrari nel mondo. Montezemolo, dopo essere stato il pupillo del Drake negli anni ’70, ha rischiato per la Ferrari e ha vinto. Ha scommesso sulla triade Todt-Brawn e Schumacher che assieme hanno portato a Maranello ben 6 mondiali costruttori consecutivi e 5 piloti. Il brand Ferrari è il più conosciuto al mondo ma la decisione di Montezemolo di ricandidarsi alla Presidenza nei prossimi tre anni è sembrata uno sfregio a Marchionne che, in previsione dello sbarco in Borsa a Wall Street, vuole mostrare agli investitori il volto di una Ferrari vincente, sotto tutti gli aspetti. La Rossa schiava del marketing aziendale deve seguire i disegni strategici di FCA, o almeno questi sarebbero i desideri di Marchionne che lavora per la distruzione di un mito italiano.

A seguito di quanto accaduto con la FIAT, l’obiettivo del gruppo di Detroit sembrerebbe semplice: provare a esportare anche il Cavallino Rampante negli States, lasciare a casa il gusto del Made in Italy che da sempre contraddistingue la Rossa per una corazza più yankee. Nessuna novità: l’impronta americana a Maranello è già stata portata da Marco Mattiacci, molto più gradito al gruppo Chrysler che all’azienda italiana, nel momento in cui è stato scelto per prendere il posto di Stefano Domenicali.  La love story tra Montezemolo e Marchionne è ai titoli di coda, assomiglia sempre di più a un matrimonio senza amore. Al di là di chi siederà sulla poltrona, a guidare la Rossa sarà sempre l’AD del gruppo Fiat-Chrysler, lui deciderà strategia e direzione. Ormai a mancare sembra essere solo l’ufficialità. La carica di presidente potrebbe essere assunta direttamente da Marchionne o da John Elkann ma un’altra ipotesi solletica Detroit: rafforzare il gruppo mettendo tre grandi marchi sotto lo stesso tetto. Maserati, Alfa e Ferrari sotto la guida di Harald Wester, almeno a parole, i fatti sono altra cosa.