Credits: Scuderia Ferrari Press Area
Poco prima dell’inizio del campionato Leo Turrini, col suo solito stile, aveva commentato con un certo rammarico il ridimensionamento annunciato da Mattia Binotto. La prospettiva di avere una Ferrari “da Europa League” risulta in effetti poco entusiasmante se si pensa alla storia e al blasone del Cavallino Rampante. Eppure, dopo il deludente weekend a Portimao, le cose sembrano essere addirittura peggiori.
L’Europa League della Formula 1 è quel gruppone immediatamente dietro ai due top team. Un gruppone all’interno del quale Ferrari, per bocca del suo team principal, aveva l’obiettivo di primeggiare così da iniziare nel migliore dei modi quel progetto di rilancio in vista del cambio regolamentare previsto nel 2022. Ma la tre giorni in Portogallo ha evidenziato dei limiti talmente preoccupanti da rendere francamente difficile continuare a credere con convinzione a questa prospettiva. Al punto che ci chiediamo: e se quella di quest’anno fosse invece una Ferrari da Conference League?
Nei garage di McLaren e Ferrari tutti continuano ad evidenziare (e fanno bene) l’importante valore simbolico del quinto posto. Quel piazzamento che certifica di essere il “migliore degli altri” dietro alle imprendibili Mercedes e Red Bull e che, se ottenuto, darebbe un volto molto più positivo al momento di entrambi. Fatto sta che, su tre gare, Leclerc ha chiuso alle spalle di Norris in tutte le occasioni. E la prestazione di Portimao assume oltretutto un’importanza maggiore.
Dopo l’esordio in una pista anomala come il Bahrain e il weekend di Imola condizionato però dalla pioggia quello in terra lusitana era un test che si attendeva con ansia, perchè costituiva il primo vero banco di prova completo per i team. Le caratteristiche della pista portoghese sono infatti quelle ideali per far emergere i potenziali e i limiti di una monoposto, perchè al suo interno troviamo veramente di tutto: lunghi rettilinei, saliscendi improvvisi e tornanti da percorrere con velocità di percorrenza inferiore ai 100 km/h.
E ad un appello così cruciale la Ferrari non ha dato le risposte che ci si aspettava. Non tanto per il risultato, ma per il modo in cui questo è maturato. La Rossa ha mostrato, rispetto ai suoi concorrenti più diretti (McLaren ed Alpine) gli stessi limiti cronici che tutti abbiamo imparato a conoscere nel 2020. Una gestione deficitaria degli pneumatici (con il crollo di Sainz nel secondo stint) e un grosso gap in termini di velocità di punta, che rende i piloti poco efficaci in fase d’attacco e molto vulnerabili in fase di difesa.
Il bello di avere un back-to-back all’interno del calendario è che la Ferrari già nei prossimi giorni avrà la possibilità di smentirci. Quello di Barcellona è un tracciato altrettanto completo ed utile per valutare quelli che sono i veri rapporti di forza. Un qualcosa di molto simile ad una prova del nove per la SF21, chiamata a dare un immediato segnale di riscatto.
A livello puramente statistico la Ferrari ha tra l’altro l’obbligo di rendere onore alla propria storia, facendo di tutto per evitare di eguagliare alcuni primati particolarmente negativi. Una Rossa che manca non solo la vittoria, ma addirittura il piazzamento nella Top 3 della classifica costruttori per due anni consecutivi non la si vede da quasi trent’anni. Ossia quando nel biennio tra il 1992 e il 1993 toccò forse il punto più basso del ventennale digiuno prima di entrare nell’era Todt.
Un’epopea, quella di Todt e della sua Ferrari, che proprio a Barcellona toccò una delle tappe più suggestive ed emozionanti. Con la prima delle 72 vittorie sulla Rossa di Michael Schumacher in una bagnata domenica del 1996. Una ricorrenza ancora nel cuore di tanti tifosi sparsi in giro per il mondo, e che in qualche modo sarebbe bello provare ad onorare.