Credits: MediaCenter Ferrari
Il Gran Premio del Brasile è stato tante cose: il primo trionfo di George Russell, il dissidio in casa Red Bull fra Max Verstappen ed il Checo Perez, ma anche e soprattutto l’umore nero di Charles Leclerc. La volontà del monegasco di archiviare questa stagione è sempre più evidente, e più che mai lo è stato durante le interviste post gara dove è parso sfinito, quasi sconsolato.
L’ultimo casus belli è il mancato swap fra la F1-75 numero #16 e quella del compagno di squadra. Una necessità di cui fra loro si era già parlato a priori nell’ottica di aiutare Leclerc a conquistare il secondo posto nella classifica piloti. La richiesta quindi non è stata campata per aria, e non avrebbe colto di sorpresa Carlos Sainz nel caso gli fosse stata girata. Lo spagnolo infatti si sarebbe messo a disposizione senza alcuna remora, come dichiarato da Mattia Binotto.
Tuttavia ciò non è avvenuto. Il “no” è arrivato direttamente dal muretto che si è voluto assicurare il terzo ed il quarto posto. Il motivo è stato presto detto. Il rischio penalità che pendeva su Carlos in combinato alla presenza di Fernando Alonso ad un secondo e poco più da Charles hanno portato in questa direzione. Nonostante qualcuno abbia storto il naso, ciò non si può ascrivere fra i tanti errori commessi da quelli di Maranello in questa annata. Proteggere il bottino di punti è stato più importante, in particolar modo guardando alla Mercedes che sempre più minacciosamente si avvicina alla Ferrari nei costruttori.
Questo vuol dire che, con la sola tappa di Abu Dhabi mancante all’appello, i due contendenti si trovano appaiati entrambi a 290 punti – con il classe ’97 avanti per una questione di numero di vittorie (tre contro le due del messicano).
La visione complessiva è un qualcosa che al pilota non può che mancare mentre è alla guida. Così come è mancata a Leclerc; che in radio non è comunque riuscito a trattenersi rispondendo sarcasticamente al suo ingegnere ed a Laurent Mekies apertisi con lui. Reazione esagerata? Beh no, e vi dico il perché.
Benché la squadra abbia giustamente negato lo swap, rimane il fatto che il monegasco non è la prima volta che raccoglie un due di picche dopo aver invocato aiuto. Un insieme di circostanze che hanno fatto pensare che Charles si sarebbe dovuto imporre di più. Specialmente in situazioni dove la lotta per il campionato poteva essere mantenuta ancora viva – ve lo ricordate o no quanto successo a Silverstone?
L’economia di squadra è alla base, tuttavia la Rossa dovrebbe tenere a mente che il titolo lo vince solo uno. Con un divario di punti grande come quello che già era ad inizio stagione fra i suoi due piloti, verrebbe normale privilegiarne uno rispetto all’altro. Eppure non è stato così. E durante il campionato si contano numerose le volte in cui questo non è avvenuto. Mi fa fatto riflettere leggere un commento che si focalizzava proprio su ciò, e che terminava aggiungendo: “C’è attrito”.
L’attrito di cui si parla è l’evidente risultato di un atteggiamento portato avanti dall’inizio, di cui il team principal italo-elvetico si è fatto promotore. Non ammettendo mai gli sbagli commessi. Così però non si rischia di rendere opaca una gemma spendente qual’è Leclerc? La storia recente è piena di questi esempi, malgrado ciò gli esiti sono sempre i medesimi. L’impellenza di una qualche riorganizzazione è sotto gli occhi di tutti, e forse qualche si muove. Prima ricordo che si criticava perché si facevano rivoluzioni ogni tre per due, oggi perché invece non si cambia nemmeno quando c’è l’evidenza.
Lo rammentano tutti, lo ribadisco anche io. I mondiali, sia piloti che costruttori, si vincono con un numero #1 ed un numero #2. Lo fa Red Bull, lo ha fatto Mercedes, lo faceva la Ferrari dei tempi andati. Dov’è la dirigenza appassionata alla Formula 1 e presente? Dov’è il muretto? Dove sono gli ingegneri?
Lo guardo spento, frutto di mesi esasperanti in cui prima si è visto Red Bull dilagare ed infine Wolff & Co. superarli in termini di performance, deve essere una breve parentesi. Un’esperienza da cui imparare. Per far sì che le ultime parole non siano piene di sconforto e delusione, bensì di entusiasmo e voglia di correre.