Credit: Williams Press Area
La figlia Claire chiamata a far uscire dal box le sue creature, prima del GP d’Italia del 2020. E’ l’ultima gara in cui Frank è padrone della scuderia, prima del passaggio a Dorilton Capital, ma le sue monoposto si chiameranno ancora con le sue iniziali: FW.
E’ stata quella l’ultima immagine della sua Williams. Frank se n’è andato, dopo una vita passata ad avere sacrificio e impegno come compagni di un lungo viaggio. Sul quale percorso si è abbattuta, nel 1986, una tempesta: un incidente accaduto intorno alle vie adiacenti al Paul Ricard, lo lascia paraplegico sulla sedia a rotelle. Quella passione per i motori ereditata da un amico che un giorno, in Scozia, gli fece provare una Jaguar facendo scattare in lui la scintilla del motorsport, gli aveva presentato un conto salatissimo.
Nel 1966 aveva aperto la sua Frank Williams Racing Car, introducendola alla Formula 1 nel 1969 ereditando un telaio della Brabham. Nel 1979 il primo GP vinto a Silverstone con Regazzoni, nel 1980 il primo titolo mondiale, con Alan Jones, nel 1982 la replica con Keke Rosberg.
Ma quella non era già più la vecchia azienda, bensì la Williams Racing, che ebbe la prima sede in un negozio di tappeti dell’Oxfordshire, messa in piedi dopo il fallimento di chi lo aveva appoggiato nella precedente esperienza, quando il nostro era a corto di fondi.
Una rimonta continua, una tenacia d’altri tempi. Fino a raccogliere i frutti nel decennio successivo, quando la Williams diventa per quasi un decennio la macchina da battere. Frank ce l’aveva fatta: sedeva tra i grandi nel salotto del motorsport.
Anno 1987, Nelson Piquet è il terzo titolo piloti di Frank. 1992, Nigel Mansell vince le prime sei gare della stagione e stravince il Mondiale a 40 anni. 1993, è l’ultimo anno di Prost, che torna dopo l’anno sabbatico e vince a mani basse. E poi, Ayrton. La macchina migliore per il pilota migliore. Ma per tutto quanto è stato già ampiamente visto, detto e scritto, le cose non vanno per il verso giusto. Nel briefing della vigilia della nefasta gara di Imola, viene ripresa la squadra intorno al tavolo e Frank che parla con i meccanici: “Se a Ayrton accade un incidente…”. Ed è quello che accadrà.
Non sapremo mai quanta amarezza ha dimorato nel cuore di Frank Williams. Lui, schivo, refrattario alle emozioni, impassibile nella sua tempra, nonostante tutte le disavventure a lui capitate. Ma sappiamo che c’è stata, tangibile e concreta. Pareva la fine. E invece non sarebbe stato così.
Il sedile di Ayrton lo prende Coulthard, e Damon Hill viene lanciato verso la lotta al titolo. Va male in quel 1994, con lo scontro ad Adelaide con la Benetton di Schumacher, e pure nel 1995, nonostante l’inglese firmi la sua più bella vittoria in carriera in Giappone. Nel 1996 arriva la corona: lui come il padre Graham. Il suo compagno è un altro dal cognome pesante: Jacques Villeneuve, che nel 1997 si accomoderà nell’albo d’oro del Mondiale di F1. La sua Williams l’ultima gara l’ha vinta nel 2012, con Maldonado, Gp di Spagna, sette anni dopo che un suo pilota (Montoya) aveva vinto l’ultima volta.
C’è un documentario su Netflix che racconta la sua storia. Guardatelo. E capirete soprattutto il ruolo di sua moglie Virginia, scomparsa nel 2013. Che aveva scritto un libro, e che la figlia Claire esorta il padre a leggere. Ma lui proprio non ne vuol sapere. E anche qua, possiamo solo immaginare il dolore che serbava in corpo, che è un po’ anche il nostro, oggi, caro Frank. Indomito combattente di una Formula 1 scomparsa, che oggi perde un altro pezzo pregiato.