Ambientato nell’affascinante età d’oro delle corse di Formula 1, Rush racconta una storia vera, la rivalità che ha visto il fronteggiarsi, dentro e fuori la pista nel campionato del 1976, due grandi personalità come quelle di James Hunt, inguaribile playboy inglese, e Niki Lauda, calcolatore e professionale. Proprio questo acceso dualismo e il raggiungere i propri obiettivi scatena nell’avversario una motivazione a migliorarsi progressivamente, una condizione della psiche umana difficile da fermare in una cinepresa, impresa che è riuscita perfettamente a Howard che ha potuto dare vita a un film indicato come «il migliore mai fatto sulle corse». Non a caso Ron Howard, oltre a essere un eccelso regista, è in primo luogo un appassionato di corse e solamente un vero fan poteva riuscire nell’impresa di riportare in vita una di quelle che, ancora oggi è ritenuta, come una delle stagioni più appassionanti ed emozionanti di Formula 1.
Tribune piene, rombo dei motori e pista bagnata. Scene di vita vera, trasportate sul nastro. La griglia di partenza del Nurburgring 1976, il Gran Premio maledetto che in un certo senso ha cambiato Lauda. Un film drammatico, in differenti punti che inesorabilmente si porta dietro una scia di polemiche per colpa di come Hunt è rappresentato nella pellicola. Tom Hunt, figlio dell’inglese, è andato su tutte le furie per la scena in cui l’attore che interpreta il padre prende a pugni un giornalista, un aspetto violento che Tom non riconosce al genitore.
Eppure, nonostante il buon responso ricevuto dal pubblico, Rush è stato estromesso dagli Oscar mentre non ha ottenuto alcun premio anche ai Golden Globe. L’unico riconoscimento arriva dai Bafta Awards dove la pellicola di Ron Howard è stata eletta come miglior montaggio.