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Formula 1

Restare incollati all’asfalto: il diffusore e l’effetto suolo

Cosa sono l’effetto suolo e il diffusore? Diamo uno sguardo più attento ad uno degli elementi fondamentali di una macchina di Formula 1

Dall’introduzione dell’aerodinamica, i progettisti delle monoposto di Formula 1 si son sempre dati da fare per assicurarne la massima aderenza all’asfalto. Nel corso degli anni tanti sono stati gli stratagemmi adottati. Se alcuni sono stati fatti sparire in un battito di ciglia, altri invece si sono evoluti nel tempo e sono arrivati fino a noi. Dalla Brabham BT46B alle discutibili X-wing della stagione ’98, davanti alla ricerca ultima della velocità l’occhio cede necessariamente il passo all’utilità. Eppure nessuna innovazione è mai stata forse così rivoluzionaria come la scoperta dell’effetto suolo e la successiva introduzione del diffusore.

Innanzitutto, senza scendere nei particolari, cerchiamo di comprendere cosa sia l’effetto suolo. L’unione di zone ad alta e bassa pressione è ciò che garantisce il corretto funzionamento delle ali. Il fisico svizzero Bernulli scoprì che per i fluidi (quale è l’aria) vi era un legame inverso tra pressione e velocità. In soldoni, tanto più è veloce il fluido tanto più è bassa la pressione, e viceversa. Regolando opportunamente questi due parametri è possibile generare una spinta verso il basso (deportanza) o verso l’alto (portanza).

Ma cosa ha a che fare tutto questo con una cosa posta sotto una monoposto, vi chiederete. Beh, ecco, provate ora ad immaginare di fare di tutta la vettura un’ala. Ciò è possibile grazie all’effetto suolo, ovvero la somma di tutta una serie di accorgimenti aerodinamici atti ad accelerare l’aria al di sotto della vettura, rendendola, a tutti gli effetti, un grande alettone rumoroso, veloce e soprattutto stabile.

MINIGONNE, VENTILATORI E DIFFUSORI

L’effetto suolo si basa sul concetto di tubo Venturi, dominato dall’omonimo effetto. Immaginiamo di collegare due tubi dal diverso diametro, uno più grande e uno più piccolo, e di lasciarvi passare all’interno un fluido. Per quanto controintuitivo ciò possa apparire, la pressione è maggiore nel tubo dal diametro più grande e minore in quello più piccolo, e se siete stati attenti sopra potrete già immaginare dove la velocità del fluido sia maggiore. Ecco perché si parla anche di paradosso idrodinamico. Facendo passare dunque l’aria in uno spazio più stretto è possibile accelerarla creando zone a bassa pressione.

Il primo tentativo di utilizzo dell’effetto suolo è datato 1977, quando la Lotus implementò sulla propria monoposto le cosiddette minigonne, paratie laterali che sigillavano l’area sotto la vettura quando questa era schiacciata al suolo dagli alettoni in funzione. Tale soluzione venne bandita a causa della sua pericolosità. Danni alle bandelle (loro nome “tecnico“) rendevano altamente instabile la monoposto. L’anno successivo fu la volta della già citata Brabham, che montò dopo gli scarichi del potente motore a 12 cilindri una sorta di ventilatore gigante. Anche questa idea venne bandita, addirittura dopo una gara, tra l’altro dominata.

Il diffusore è stato uno degli ultimi tentativi per generare effetto suolo. Introdotto alla fine degli anni ’80, è collocato sul fondo della vettura, ed ha una caratteristica forma di “scivolo alla rovescia“.  Una serie di bandelle laterali convogliano il flusso d’aria creando tanti piccoli tubi Venturi, rendendolo così più regolare. L’aria si trova a passare così da una zona molto sottile, cioè quella compresa tra l’asfalto e il fondo della monoposto, ad una più spessa nel diffusore per poi essere “espulsa”. Per essere efficace, un buon diffusore deve assicurare infine una variazione di volume graduale. Per un buon diffusore passa la strada per il successo, chiedere a Ross Brawn per credere.


 

 

Published by
Matteo Tambone