Non ho ancora scritto niente su Michael dopo quello che gli è successo, perché non ce l’ho fatta: ogni volta che ci provavo mi venivano un peso allo stomaco e un groppo in gola. Ma ora ho letto questo vostro bell’articolo, voglio rispondere. Michael per me è stato, è e sempre sarà la Formula Uno. Ossia quella Formula Uno che ho vissuto tanto intensamente, da adolescente, tra il 1999 e il 2006, che mi ha regalato emozioni vere, irripetibili. Che mi ha fatto soffrire, ridere, piangere, sognare sulla Ferrari. Io, in fondo, ancora oggi fatico a credere che non ci sia più lui a guidare la Rossa, che non scenda più dalla monoposto con il suo radioso sorriso e il pugno alzato in segno di vittoria, che non faccia più il suo proverbiale salto sul podio.
Anche se sono passati 7 anni, per me Ferrari ha sempre significato Schumi e viceversa, anche se è passato alla Mercedes. Ho visto le foto delle sue 72 vittorie con la Ferrari stamattina: ebbene, alcune me le ricordo tanto distintamente che il tempo sembra non essere trascorso. E le emozioni si rinnovano, con solo un pizzico di amaro in bocca per il rimpianto di un’epoca della nostra storia e della mia vita che non potrà più tornare.
Per me, Michael è stato IL Pilota, quello con la «P» maiuscola, un mito, un idolo, una persona a cui volere davvero bene pur non avendolo mai incontrato di persona. E, ora più che mai, lo sento dannatamente vicino. Vorrei che gli arrivasse davvero il mio, il nostro augurio: «Michael, non mollare! Sappiamo che ce la puoi fare. Hai vinto gare impossibili, vinci anche questa, ti prego! Grazie di tutto. E buon compleanno, campione!» Sì, lo rivedremo. Ne sono certa. Dobbiamo rivederlo.
Paola Corradini