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GP Spagna: questione di spinte…

Venerdì 9 maggio 2014, Circuito di Barcellona. Le prove libere del Gran Premio di Spagna si sono aperte con un colpo di scena: la Red Bull numero 1, quella di Sebastian Vettel, si ferma dopo 4 giri per un problema tecnico. Si tratta di un guasto elettrico, che impedisce al tedesco di scendere in pista nell’arco dell’intera giornata, pregiudicando così tutto il delicato fine settimana del primo Gran Premio europeo della stagione 2014. Vettel poco dopo aver lasciato i box, in cerca dell’assetto ideale, rallenta a metà circuito, si ferma e una volta che i commissari di gara portano la vettura al sicuro a bordo pista, si toglie il casco, perplesso, deluso, sconfortato.

Basta però una rapida occhiata e il giovane 4 volte campione del mondo si accorge che la sua vettura ha un problema abbastanza serio. Così afferra l’estintore e lo punta verso il retrotreno della sua monoposto. Con consumata perizia Vettel riporta la situazione sotto controllo, e si preoccupa anche di aiutare, dirigendoli, gli addetti di pista, sorpresi e in soggezione per l’illustre aiutante, nel far adagiare la Red Bull sul carro attrezzi.

Con leggero imbarazzo il 26enne è andato a recuperare l’estintore nella postazione dei commissari, sotto l’ombrellone. Poi, mentre si dirigeva cautamente verso la vettura (la situazione non era così grave) ha abbozzato un sorriso imbarazzato verso i tifosi assiepati al di là della vicina rete di protezione; spettatori che lo stavano applaudendo probabilmente divertiti da quello spettacolo grottesco.
Così, con scrupolosità, il tedesco ha provveduto in prima persona alla messa in sicurezza del proprio mezzo. Del resto non è la prima volta che Sebastian si dimostra prodigo di cure verso la propria vettura, anche perché oggi le macchine hanno raggiunto un livello di alta sofisticazione e quindi di fragilità: è capitato spesso che una monoposto fosse difficile da riparare non tanto per il guasto subito ma per via delle cure ricevute da commissari inesperti, sopratutto nel padroneggiare l’estintore che facilmente può danneggiare le componenti elettroniche, oggi numerose. Per di più, una volta arrivato il carro attrezzi il lavoro di Vettel non si è fermato. Con una scrupolosità che quasi sconfinava nella tenerezza (e forse non proprio da regolamento) è salito sul mezzo coi soccorritori e ha evitato che il telaio della RB10 si danneggiasse, spezzandosi in qualche appendice aerodinamica sul camion. Solo a quel punto Seb ha preso la via dei box, congedandosi finalmente dalla Red Bull numero 1.

Certo, ci mancherebbe che un pilota non prestasse la giusta attenzione al proprio mezzo di lavoro. Però, nelle rare occasioni in cui le vetture di Sebastian hanno accusato un guasto meccanico (in gara meno di 10 volte dal 2009 a oggi), è abitudine che il giovane tedesco gli presti soccorso in prima persona. Questo può star a significare diverse cose, nell’approccio di Vettel ai GP; sono aspetti che emergono anche in altre occasioni, diciamo pure secondarie, di un week-end di gara. Come era caratteristica del connazionale Michael Schumacher, Sebastian Vettel è particolarmente attento ad ogni aspetto della vettura che porta in pista, maturando col tempo una conoscenza meccanica del mezzo non indifferente rispetto ad altri suoi colleghi. In più è uno che vive la squadra come pochi piloti fanno. Pranza sempre con i meccanici, evitando di rintanarsi in hotel o di perdersi in cene di gala. Non si tira indietro di fronte al lavoro sporco del pilota. Ha un atteggiamento in generale aperto, scherza con i colleghi o con i vari giornalisti che gli fanno le domande durante le conferenze stampa, è l’idolo dei suoi meccanici; eppure resta sempre il pilota di gran lunga più titolato tra quelli che corrono oggi in F1. In quel sorriso imbarazzato rivolto ai fan oltre la rete, tutto sommato auto ironico, che si è lasciato sfuggire nella corsa con l’estintore in mano, Vettel ha saputo sdrammatizzare ed esorcizzare le tante tensioni dovute alla competizione, al business, alla spietata rivalità, che regnano in F1. Vettel ha perso una giornata di prove libere, ma di sicuro, dopo quel guasto, potrà contare sull’appoggio di qualche simpatizzante in più oltre la rete.

Domenica 11 maggio, Circuito di Barcellona. Manca meno di un ora alla partenza. Come da lì a qualche minuto lo sarà la Griglia di partenza, il retrobox è un formicaio: i giornalisti e i reporter TV fanno le ultime considerazioni in diretta, meccanici e piloti prendono la via dei box, i fotografi e i rappresentanti degli sponsor vanno a prendere i loro posti lungo il circuito. Dal motorhome Ferrari sbuca Kimi Raikkonen. Il finlandese attraversa rapidamente la corsia ma nel tragitto si scontra contro un addetto ai lavori, che con passo svelto si dirigeva in direzione opposta. Kimi rifila uno spintone al malcapitato e si dilegua come se niente fosse all’interno del box Ferrari, sacramentando anche qualcosa. Non è la prima volta, che qualcuno vola per colpa di Raikkonen, anzi.

Il ferrarista è un tipo burbero, selvatico: pochissime parole, brevi sorrisi, nessun gesto plateale; il fascino di Iceman è proprio questa animale ritrosia alla socialità, che da un lato lo rende antipatico dall’altro indubbiamente misterioso e quindi personaggio affascinante. E’ chiaro però come oggi la F1 sia sport di squadra, la quale conta numerose persone con le più specializzate e minime mansioni. Un tipo come Raikkonen sembra spesso un disadattato, in uno scenario tanto affollato. Ancor più in un team come la Ferrari, dove un certo spirito di squadra, a volte asfissiantemente politico, è richiesto. Raikkonen è 11° in campionato e il ritorno a Maranello per ora pare un disastro. L’ennesimo spintone di domenica, è passato quasi inosservato, probabilmente anche giustamente. Ormai certe forme di educazione passano in secondo piano quando si parla di celebrità.

Sarà così, fatto sta che Kimi anziché arrivare in circuito col suo zainetto, guidare (benissimo per carità) e poi abbandonare la squadra, potrebbe trarre giovamento, anche per quel che riguarda i risultati in pista, da un atteggiamento diverso, più collaborativo, disteso. E forse un cambio di approccio sul lavoro potrebbe garantirgli anche qualche tifoso in più, lungo i vicoli del retrobox.

Domenica 1 maggio 1994, Circuito di Imola. Un paio di settimane fa, la Formula 1, ma più in generale il mondo dello sport, ha celebrato il ventennale della morte di Ayrton Senna (avvenuta a Imola, durante il GP di San Marino del 1994). Il pilota brasiliano ha toccato le corde più profonde degli appassionati non certo per il solo numero delle sue vittorie; quelle sono requisito necessario per essere ricordati. A rendere una leggenda Senna, sono state le parole, i gesti, le scelte, tutte chiare manifestazioni di una ricca personalità. Indubbio che le vittorie abbiano permesso a Senna di essere al centro dell’attenzione e da quella posizione privilegiata potersi esprimere e farsi amare per quello che era. Altrettanto certo è che la Formula 1 di una volta permetteva a un Senna di essere Senna: i piloti potevano agire con maggiore indipendenza rispetto ai team manager o agli addetti stampa. La Formula 1, ma probabilmente un po’ tutti gli sport e se non la società di oggi, ha razionalizzato ogni atto del proprio essere, perdendo quello spazio di umanità nei quali gli atleti potevano rifugiarsi, dando spazio alla loro umanità, interessante o meno, buona o cattiva che fosse.

Se oggi i piloti del Circus stanno alla larga dalle interviste più scomode, o se sono diventati pedine degli organizzatori e delle federazioni sportive, o più semplicemente sono freddi twittatori, non resta che osservare passivamente la loro gestualità spontanea, da cogliere con attenzione ed empatia, capace ancora di offrire schegge di umanità, che rendono lo sport ancora appassionante: anche se a volte è solo questione di spinte…

Francesco Bagini
formula.francesco@tiscali.it

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Redazione