Siamo alle solite, la storia è sempre la stessa. La Formula 1 può essere considerato come lo specchio della società attuale, passata e anche futura. Anche nel Circus, come nella vita di tutti i giorni, la lotta è sempre impari tra ricchi e poveri. Se i primi stanno con le loro pance piene senza alcuna intenzione di spartire i soldi con i più deboli, i secondi, se non vengono riconosciuti loro i giusti diritti minacciano scioperi, fughe e ritorsioni. Nonostante il silenzio sulla questione il 2014 si è abbattuto sulla Formula 1 come solo uno tsunami avrebbe potuto sul chioschetti di gelati sulla spiaggia: la crisi finanziaria, e i nuovi regolamenti all’insegna dello sviluppo tecnologico, hanno mandato in tilt l’intero show. Facendo un paradosso di tipo economico, la Formula 1, attualmente sembra essere il miglior termine di paragone per dare una netta spiegazione di quello che sta accadendo nel mondo.
La disuguaglianza uccide la crescita. Come nei paesi dove i ricchi sono sempre più ricchi e i poveri sempre più poveri, quando la la ricchezza si concentra in poche mani la crisi è inevitabile. Domenica si correrà il Gran Premio di Abu Dhabi, atto conclusivo della stagione di Formula 1 2014. Il Mondiale Costruttori è già stato assegnato alla Mercedes, quello piloti se lo giocheranno Lewis Hamilton e Nico Rosberg col britannico avvantaggiato in classifica grazie al vantaggio di 17 punti sull’avversario tedesco. Proprio in occasione della gara di Yas Marina, dopo il deferimento dei GP di Usa e Brasile, dove due scuderie, schiacciate dai debiti, hanno preferito non scendere in pista, la Caterham tornerà a correre per l’atto conclusivo dell’anno e Bernie Ecclestone, ha più di un motivo per essere preoccupato.
Nonostante riescano a prendere parte in completo alla stagione, Force India, Lotus e Sauber non sono messe meglio delle varie Marussia e Caterham. Proprio le tre scuduerie di metà classifica, in occasione dell’appuntamento di Austin hanno minacciato uno sciopero, poi finito in un nulla di fatto. Il motivo dello scontro riguarda la spartizione delle entrate tra i team di Formula che inevitabilmente premia i più forti (ricchi) mentre va a penalizzare i deboli (poveri). Bernie Ecclestone controlla il 35% della Formula 1 attraverso la Formula One Management (Fom) e per contratto, deve assicurare almeno 18 vetture in pista. Sulla base di quanto si evince dal bilancio della Formula 1, pubblicato a inizio ottobre, il Circus ha avuto un incremento di guadagni pari arrivando a 1,7 miliardi di dollari grazie alle rimunerative sponsorizzazioni della Rolex, della Emirates e, soprattutto, dei contratti televisivi. Il 40% delle entrate finisce nelle tasche di Mister Ecclestone mentre il restante 60%, va ad aumentare le finanze di chi dispone già di una barca di soldi.
I dollaroni che entrano nelle banche delle scuderie, per il 50% della fetta vengono suddivisi in modo identico tra tutti i partecipanti mentre il restante 50% viene spartito a seconda della classifica costruttori, limitato al decimo posto dal 2013. Per generare ulteriore gap tra le scuderie in gioco, la differenza è abissale se teniamo conto di quanto ottenuto dalla Red Bull (65 milioni di dollari), leader della classifica, e da quanto porato a casa dalla Marussia (14 milioni di euro), fanalino di coda. Tra le altre cose, anche tra i big, la situazione non è poi così idilliaca. La Ferrari inevitabilmente attira le antipatie degli avversari, e non per i risultati sportivi: il Cavallino Rampante, essendo l’unico team che ha preso parte a tutte le edizioni del mondiale di Formula 1, indipendentemente dal risultato di fine anno ha un premio fedeltà, un bonus stimato attorno ai 18 milioni di dollari. La colpa della situazione è inevitabilmente da affibbiare alla cattiva gestione di un sistema malato.
Ecclestone ha recentemente ammesso di aver suddiviso i soldi in maniera sbagliata e, pur di mandare avanti il business della Formula 1, sarebbe disposto a rivedere le regole. D’altra parte, invece, non ci stanno i big (Ferrari, Mercedes, Red Bull e McLaren), che sono stati abituati bene e che ora non hanno intenzione di mettersi davanti a un tavolo per discutere una nuova spartizione dei diritti commerciali, tanto meno hanno voglia di fare l’elemosina ai più piccoli. Ma la crisi economica della Formula 1 non è un’assoluta novità. È dal 2008, anno dell’addio della Honda per questioni monetarie, che nel Circus si parla della problematica, scoppiata in modo cruento e repentino sei anni dopo, dopo, anche forse troppi preavvisi. I soldi vanno ai soliti noti e la Formula 1 continua a zoppicare.