© Jenson Button
Volete sapere chi è Jenson Button? Esordì con la Williams-BMW nella stagione 2000 al posto di Alessandro Zanardi, per poi affrontare un biennio con la Benetton (acquisita dalla Renault nel 2002) al quale seguì un lungo periodo di collaborazione con la BAR motorizzata Honda, prima sotto i colori dello sponsor produttore di tabacchi e poi direttamente con quelli del colosso giapponese.
Ma fu nel 2009 che Button arrivò sul tetto del mondo, grazie a quella Brawn GP con la quale sbaragliò la concorrenza e diventò Campione del Mondo. Sembrava che potesse ritornare al vertice nelle stagioni successive, una volta ingaggiato dalla McLaren, ma a parte alcuni risultati importanti il pilota inglese non riuscì più a ripetere quella sensazionale impresa.
Questo e molto altro nella sua autobiografia, “Life to the Limit”, uscita in libreria lo scorso giovedì e che racconta diversi retroscena della sua vita da pilota.
Volete qualche anticipazione? Eccovi accontentati: innanzitutto il suo rapporto con Lewis Hamilton durante gli anni con il team di Woking, nei quali ha avuto diversi screzi e per poco non è arrivato alle mani.
“A metà del 2010 ero davanti a Lewis in classifica – scrive Button nella sua autobiografia – Poteva Hamilton essere battuto dal compagno di squadra? Probabilmente no: con me era carino ma forse era infastidito dalla situazione all’interno del team. Le cose peggiorarono in Turchia: lo superai nelle ultime battute di gara quando lui pensava che le posizioni erano ormai definite. In quel frangente mi affrontò dicendo che non avevo rispettato gli ordini di scuderia. Io gli risposi che non gli avevo mai detto che non lo avrei fatto…”.
“Poi ci fu la storia delle telemetrie del GP del Belgio 2012 – continua Jenson – Mi sorprese quanto postò un tweet mostrando quanto aveva perso in qualifica a causa di una diversa conformazione dell’ala posteriore. Sicuramente era dispiaciuto, ma questo danneggiò anche me. Sono cose che devono rimanere segrete e sicuramente quella era stata una mossa per lamentarsi con la McLaren. Poi venni a sapere che sarebbe passato in Mercedes con Rosberg: mi dispiacque perchè mi stavo divertendo con lui, anche se al di fuori della pista era un personaggio molto strano con il quale non ebbi una grande relazione d’amicizia”.
Ma oltre ai rapporti con i suoi compagni di squadra, un argomento che fa capire tutta la sua umanità come persona e come pilota “normale”, comunque capace di diventare Campione del Mondo, è quello che provò quando suo padre morì nel 2014. “Quando mio papà scomparve mi rimase il mio amore per le corse, mentre quello per la Formula 1 cominciò a vacillare. Stavo cercando un senso che non riuscivo a trovare. Guardai indietro nella mia carriera e non mi sentivo alla pari di Vettel o Hamilton. Ero arrivato in F1, ero diventato Campione del Mondo: non avevo bisogno di vincere altri titoli. La mia fame era stata soddisfatta”.