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Analisi della redazione

Formula 1 | McLaren Film review: la storia di Bruce, self-made man del motorsport

Il 22 maggio è uscito il McLaren Film, , che ripercorre la storia di Bruce, fondatore della casa automobilistica con sede a Woking. Diretto da Roger Donaldson e prodotto dalla General Film Production e dalla New Zealand Film Commission, il film mantiene una forte componente neozelandese omaggiando il fondatore, tragicamente scomparso a Goodwood il 2 giugno 1970. Attraverso gli interventi di meccanici, di piloti come Jackie Stewart ed Emerson Fittipaldi e della moglie Patty, viene descritta l’ascesa del pioniere neozelandese interpretato dal connazionale Dwayne Cameron. Il docu-film debutterà al cinema in Italia a partire dal 23 agosto, ma il DVD è già acquistabile online.

Come ha affermato la redazione di Top Gear “Se ami le macchine, devi assolutamente vederlo“, pertanto è richiesta solamente la passione per i motori. Per apprezzarlo non è necessario essere tifosi McLaren, nè conoscere in modo approfondito le origini del team.  Il film è infatti in grado di prendere per mano lo spettatore e accompagnarlo alla scoperta di Bruce McLaren senza appesantire l’atmosfera e scrollandosi di dosso la rigidità propria di un documentario meramente informativo.

Il giusto equilibrio tra contenuti visivi reali, parti recitate e più artificiali e interviste ad hoc rende il tutto molto piacevole da seguire e gradualmente porge le chiavi per entrare in profondità nella mente di Bruce McLaren. Celebre per la frase “Life is measured in achievement, not in years alone“, è ricordato per il numero di imprese compiute in soli 32 anni partendo da Auckland, dove già da bambino fece i conti con la malattia di Legg-Calvè-Perthes. McLaren trascorse 2 anni immobilizzato, ma riuscì a camminare di nuovo e trovò nell’automobilismo la sua vocazione.

Il suo talento lo portò a misurarsi con mostri sacri come Jack Brabham e Jim Clark, per poi volare in Inghilterra dopo essere stato selezionato per il programma di allenamento Driver In Europe. Iniziò in Formula 2 con la Cooper, dove acquisì in breve tempo una notevole esperienza come pilota e come ingegnere. Come ha affermato Dan Gurney nel film, Bruce fu uno studente eccellente all’università che era il team Cooper, cosa che contribuì a renderlo un vero e proprio self-made man.

Il suo spirito pionieristico lo indusse ben presto a desiderare di oltrepassare i confini della Formula 2 e della Formula 1, correndo a Indianapolis e in Canada nella serie CanAm, in funzione di accumulare il denaro necessario per un team tutto suo. La 24 ore di LeMans, invece, fu per lui un rimedio per superare gli insuccessi iniziali in Formula 1 legati al motore (curiosa analogia con la situazione attuale). Ad ogni modo, i problemi non furono mai insormontabili per lui. La sua abilità di apprendimento in pista e in officina lo convertirono in un devoto tuttofare: pilota, meccanico, ingegnere, progettista, manager, reclutatore. 

Ciò che viene sottolineato nel McLaren film è l’importanza di mantenere la propria identità, colta in pieno da Bruce. Egli infatti dal logo alla work-ethic il team era caratterizzato dal suo essere neozelandese, con l’ormai iconico Kiwi sul primissimo badge e numerosi connazionali come meccanici, con annesso senso dello humour. Come si illustra attraverso schizzi da fumetto, Bruce i suoi meccanici condividevano il gusto per il divertimento e scherzi pericolosi, che rinsaldavano il loro legame non solo come colleghi ma come compagni di avventure.

Oltre alle illustrazioni, anche alcune scene di film western rientrano nella pellicola. Dapprima apparentemente dissonanti con la trama, si comprende successivamente che tali scene, come se fossero titoli di un paragrafo, racchiudono l’essenza degli eventi che verranno proiettati.

Questo sfoggio virtuosistico dimostra l’accuratezza a livello tecnico, ma non è tutto. A livello emozionale il film è commovente in una sorta di climax ascendente che culmina con la morte a Goodwood e l’annuncio della triste notizia da parte dei collaboratori a Patty McLaren, a casa con la piccola Amanda. Ci pensa tuttavia una frase molto significativa di Howden Ganley, ex pilota di F1, a spazzare via la tristezza per lasciare spazio all’ammirazione:

“Se Bruce un giorno entrando in fabbrica ci avesse detto “Ok, uomini, oggi non lavoreremo sulle macchine da corsa ma marceremo nel deserto del Sahara, noi tutti avremmo risposto “Oh, ok Bruce…nessun problema!”

Published by
Beatrice Zamuner