© Marussia F1 press area
Sono ormai 3 anni che il Gran Premio del Giappone per me non è più la stessa cosa, il pensiero va a lui, a Jules Bianchi, che quel maledetto 5 ottobre del 2014 ha posto fine ai suoi sogni, lottando per ben 9 mesi tra la vita e la morte, una morte che poi ha avuto la meglio, un destino beffardo che fa solo rabbia. Date come queste non si cancellano, sono in quella parte dei ricordi che fanno talmente male, quasi da togliere il fiato. È sempre una lotta scrivere articoli del genere, una lotta tra i perché, tra la rabbia e lo sgomento per quello che è successo, tra i forse ed i se che alla fine creano solo più dolore. Ma può uno sport che ci appassiona ed amiamo così tanto, portare allo stesso tempo dolore, angoscia e lasciarci con miliardi di domande a cui non potremo mai dare risposta?
Si parla di destino maledetto, si dice che sia tutto scritto da qualche parte, si pensa che non si fa mai abbastanza per la sicurezza e che maledizione, a volte sembra che in Formula 1 debbano prima accadere le disgrazie per poi attuare le giuste misure di sicurezza, sembra che mai si possano anticipare le cose, per evitare appunto tragedie simili. Si dicono tante cose, ma oggi ciò che mi sembra doveroso fare è ricordare Jules Bianchi. Non vi ricorderò nel dettaglio il nefasto incidente, non riesco, fa troppo male.
Ma voglio ricordare il suo sorriso angelico, il suo sguardo vero e sincero. Jules Bianchi pur approdando in Formula 1 non ha mai perso la sua spontaneità, non utilizzava maschere o filtri, era semplicemente limpido e trasparente come lo vedevamo. Jules Bianchi si mostrava sempre disponibile e sorridente, un sorriso da cui traspariva l’essenza della sua anima pura. La Formula 1 era il suo sogno e lui voleva solo dimostrare quanto avrebbe potuto regalare a questo sport, quante gioie ed emozioni avrebbe potuto dare ai suoi tifosi, le stesse che provava lui quando saliva sulla monoposto, nell’attesa di poter coronare il suo sogno più grande diventare Campione del Mondo.
Forse proprio questo crea ancora più rabbia, come può un sogno spezzare addirittura una vita? Io di questo non mi capacito. Certo, sappiamo tutti i rischi a cui si va incontro praticando sport come la Formula 1, ma morti del genere, lasceranno sempre un grande senso di vuoto e tristezza. Tutto questo è un tormento a cui sembra non esserci fine, ma che riesco almeno in parte ad alleviare ogni qual volta che leggo questa bellissima citazione di Max Conteddu: “Chi muore non va via per sempre, ci aspetta. Ma nel mentre vuole vederci vivere fortissimo”. Ho già utilizzato questa citazione in altri articoli in cui ho omaggiato Jules Bianchi, perché parole come queste aggiustano il cuore a pezzi, l’anima stravolta dai perché e ci invitano a riflettere.
Jules Bianchi ha vissuto una vita troppo breve ma intesa, un’intensità che ha dimostrato di avere, tramite la passione genuina e la dedizione per la Formula 1, che amava tanto. Esempio di semplicità assoluta e fonte d’ispirazione per i giovani piloti e per chi crede ancora nella bellezza dei sogni, nonostante tutto. Il suo ricordo sarà sempre vivo in chi lo porta nel cuore e nel frattempo lui ci aspetta, con un casco in mano, seduto su una monoposto. Guidaci da lassù Jules, rendici tutto questo più sopportabile e noi proveremo a vivere intensamente anche e specialmente per te. #CiaoJules