Siamo alle solite. Anche quest’anno, durante la premiazione, i tifosi italiani sono stati rimproverati per i loro fischi antisportivi. Lo scorso anno la folla se la prese con Sebastian Vettel, per il solo motivo di battere costantemente, con la sua Red Bull, la Ferrari. Quest’anno, durante la premiazione gli spettatori, scesi in pista per invadere il rettilineo di partenza e posizionarsi sotto il podio, hanno coperto di fischi Nico Rosberg, pilota Mercedes. Effettivamente anche al termine del precedente GP, in Belgio, l’esigente pubblico belga aveva disapprovato la condotta di gara di Rosberg. Il tedesco della Mercedes una volta salito sul 2° gradino del podio era stato fischiato per aver involontariamente toccato il compagno di squadra Hamilton, al secondo giro, mettendolo di fatto fuori gara. Le speranze di coloro che avrebbero voluto godersi dalle tribune un duello in pista si frantumavano così dopo pochi minuti. A Monza invece i fatti sono andati diversamente, sin dai primi giri…
Max Chilton è un giovane pilota inglese che guida una delle macchine più lente del Mondiale, la Marussia; nessuno lo riconosce quando esce dal circuito, con la sua valigetta in mano. Max Chilton al 5° giro del Gran Premio d’Italia sbaglia la frenata della Seconda Variante, decolla sul cordolo e atterra nella sabbia. Era nelle retrovie, il gruppo è già lontano, nessun rombo così può coprire il coro che arriva dagli spalti: scemo, scemo, scemo! Se ne accorge in diretta TV anche il telecronista di Sky Sport che glissa, imbarazzato. Nico Rosberg è il leader della classifica iridata. Tedesco dalle buone maniere, tra i piloti è uno dei più disponibili con giornalisti e tifosi.
Nico Rosberg, al volante della Mercedes, chiude il Gran Premio d’Italia in seconda posizione. Sul podio, alla consegna del trofeo, viene pesantemente fischiato dai tifosi giunti sotto il podio, anche se in questo fine settimana non ha guidato al limite del regolamento. Nico ha anzi compiuto due errori alla Prima Variante, con i quali si è giocato la vittoria.
Le ragioni di questi atteggiamenti contro il fair play vanno ricercate al di là del Gran Premio. Non ci sono motivazioni particolari o vecchie ruggini, c’è solo la recidività e l’unicità di tale comportamento maleducato: infatti su 13 gare, non era mai successo nulla di simile e soprattutto è il secondo anno di fila che da sotto il podio di Monza viene preso di mira un pilota con bordate di fischi. In generale il pubblico che assiste a un Gran Premio di Formula 1 non tiene un comportamento da curva calcistica: «Nelle curve vanno i giovani, va il popolo sanguigno e poco danaroso», scriveva tempo fa il brillante giornalista e scrittore Massimo Gramellini. Sul quotidiano La Stampa, Gramellini commentava la trovata dei responsabili dello stadio di Trieste: mettere delle sagome di tifosi al posto di quelli veri, per coprire la carenza di pubblico. L’aspetto che il giornalista metteva amaramente in risalto, era come lo svuotamento dello stadio interessasse il settore dei distinti, ovvero, diceva, «quel ceto medio che può spendere ma non troppo e però non rinuncia alla possibilità di vedere bene lo spettacolo […]»; ovvero quegli spettatori che stanno a metà tra gli ultrà e i privilegiati della tribuna centrale. Gramellini concludeva la riflessione così: «Perché è il popolo dei distinti che dà tono a uno stadio, a una comunità».
Una firma storica della Gazzetta dello Sport, Pino Allievi, dopo aver constato la carenza di pubblico durante il venerdì di prove libere, si è subito domandato: «Si può, nel drammatico momento di crisi che vivono l’Italia e gli italiani, inventarsi la bella trovata di far pagare 630 euro per vedere il Gran Premio d’Italia dalla tribuna principale? […] C’è la crisi, lo sanno tutti, ma anche lo spregio per chi non sta dalla parte giusta del paddock. E della vita». Lo scenario è inquietante. Da una parte i privilegiati, sempre presenti, con il collo cinto da numerosi pass colorati, che osservano dalle terrazze.
Dall’altra parte, in basso, all’ombra del podio, si possono invece scatenare gli istinti da curva, tra vessilli (anche di genere non sportivo) agitati compulsivamente, che addirittura impediscono la visuale agli stessi tifosi, tra fischi e buu che coprono le parole degli stessi piloti intervistati; insulti all’avversario di turno e sordo ossequio per i propri idoli in un caotico scenario irrazionale.
Ma questo è un antico vizio dello spettatore medio italiano, spesso tifoso (della Ferrari o curiosamente di Hamilton nel caso di domenica scorsa) più che appassionato. E’ il 1983, siamo a Imola. Il pubblico festeggia l’uscita di Riccardo Patrese, nonostante sia un pilota italiano, perché questo ritiro apriva la strada alla vittoria della Rossa. Sembra allora sempre più difficile sbarazzarsi in Italia del bisogno di idolatrare e offendere. Lo sport ne è un esempio costante, a cominciare dal calcio. Ma anche in un campo che dovrebbe esser altrettanto nobile come la politica, le logiche sono queste: o con me o contro di me; il leader va idolatrato, l’avversario è un nemico da insultare; l’amore e l’odio; si seguono slogan, si fanno cori, si sventolano bandiere, si parla di fede: sembra di stare allo stadio e invece è la nostra quotidiana vita politica.
Il podio di Monza da proprio sulla pista; offre gli eroi al pubblico, come fossimo in un arena dell’Antica Roma. Domenica erano presenti lassù, per premiare, anche il ministro Maria Elena Boschi e il governatore lombardo Roberto Maroni. Entrambi si sono ben guardati dal rimproverare con gesti plateali il pubblico che si esprimeva in modo vergognoso. Probabilmente anche loro sono abituati a questo tipo di manifestazioni di approvazione o disapprovazione plebiscitarie. Non a caso alla guida del nostro Paese hanno prevalso storicamente figure apparentemente carismatiche, perché autoritarie e di forte impatto mediatico; non a caso figure a capo di Popoli o Movimenti, naturali condottieri di chi non sa esprimersi se non come fosse in una curva da stadio.
Ritornando a Vettel, Chilton e Rosberg e alle imbarazzanti esortazioni di Jean Alesi sul podio di domenica (No ragazzi, non si fa così!), alcuni diranno che si trattava di una minoranza. E’ vero ma non basta. La maggioranza allora, invece di stare a guardare in modo omertoso, avrebbe potuto e dovuto rispondere ai fischi con dei lunghi applausi. Questo sarebbe dovuto essere l’atteggiamento dei distinti in estinzione, che sempre secondo Gramellini «rappresentano una scelta di buon senso, rassicurante, costruttiva […] un calcio e un mondo dove hanno voce solo gli ultrà e i privilegiati è qualcosa di zoppo, isterico e triste». Altra giustificazione, tanto inaccettabile quanto diffusa, che emerge in queste occasioni è la seguente: siccome gli sportivi guadagnano cifre enormi, noi tifosi abbiamo il diritto di fischiare. Questo è il modo più insolente di giustificare l’assenza di fair play, come se la dignità avesse a che fare con il reddito.
La Ferrari a Monza è inavvicinabile per gli stessi addetti ai lavori. Resta sul piedistallo, si scruta solo attraverso le reti, i suoi piloti protetti non si fermano facilmente a firmare autografi e non portano certamente valigette a mano. La Formula 1 a Monza decreta l’importanza e il prestigio di una squadra in base al numero di transenne che la tengono lontana dalla massa indistinta. La parte giusta del paddock e quella al di là delle reti si guardano, economicamente sempre più lontane, spesso maleducate entrambi; e questa non pare esser solo la fotografia dell’Autodromo di Monza. Il Gran Premio d’Italia si chiude così: al termine della cerimonia, stappato lo champagne, i piloti abbandonano il podio. Le tribune sono ormai completamente vuote. Il telecronista TV parla di Popolo Rosso appostato ancora sotto il podio. C’è solo il tempo per l’ultimo coro: Ferrari, Ferrari, Ferrari!
Francesco Bagini