Forse suonerà strano leggerlo proprio da me, ma ho ben più di un ricordo legato alla Ferrari del quale mi sarebbe piaciuto parlare. Anche per una persona che non tifa il Cavallino Rampante, la Rossa ha sempre quel non so che di magico, mistico. Probabilmente, rispetto per quella che, non possiamo dire altrimenti, è letteralmente una leggenda dell’automobilismo mondiale. E qui il tifo personale non c’entra nulla. Sì, non è un mistero, non faccio parte del popolo ferrarista ma ho sempre guardato a questa squadra con grande stima almeno fino al termine dell’epopea Montezemolo.
Qualche malizioso potrebbe pensare che questa mia ultima affermazione dipenda dal fatto che Alonso ha concluso la sua esperienza in Ferrari proprio poco prima dell’annuncio del suo addio. Non è vero niente. È l’attuale dirigenza che non mi piace, che non ha nulla a che vedere con gli ideali che hanno fatto grande questa squadra. Che non c’entra nulla con la Ferrari con la quale sono nata e cresciuta.
Esattamente come la maggior parte dei bambini e ragazzini che guardavano con interesse alla Formula 1 anche io ho preso parte ai pellegrinaggi in quel di Maranello. Avvenivano sempre in estate, durante le vacanze scolastiche, sotto a quel solleone di agosto capace di sciogliere la suola delle scarpe sull’asfalto e ne avrei di particolari da raccontare. No. Non posso dimenticare il primo Gran Premio di Formula 1 che ho vissuto dal vivo, Monza 2006. Non tifavo Ferrari, ma più che altro avevo una profonda stima per Michael Schumacher, per quello che era riuscito a ottenere, per la grinta che metteva in ogni singola gara, per l’impegno costante anche quando le cose non andavano per il verso giusto. Il ritiro del tedesco era nell’aria, già da alcuni giorni si vociferava che quello sarebbe stato il suo ultimo Gran Premio d’Italia. Vince. Io, malata di Formula 1 come ero già all’epoca, avrei potuto mai perdermi probabilmente l’unica occasione della mia vita di vedere una leggenda come quella di Schumacher sul podio, a Monza, il Tempio della Velocità? No. Ho preso parte all’invasione di pista. Mi sono buttata giù da una rete di due metri, ho dato la macchina fotografica di mio padre in mano a uno sconosciuto (?) mentre scavalcavo… o per meglio dire mentre mi impigliavo nella rete e segnavo rovinosamente i miei pantaloni, maglia e perfino pelle (si perché di quella volta mi son rimaste tre cicatrici sulle gambe). No, non è di questo che vi voglio raccontare.
Ora qualcuno di voi penserà “non si smentisce mai” ma voglio ricordare un particolare momento che ho vissuto con Alonso. L’ho sempre detto (e non mi stancherò mai di farlo) Fernando è un pilota che divide, uno degli ultimi piloti romantici delle corse moderne. È il pilota che o si ama o si odia e in ben poche occasioni è riuscito a mettere tutti d’accordo. Per me è in assoluto il pilota più completo del post-Schumacher, probabilmente solamente Hamilton, che in questo ultimo anno è maturato enormemente, è capace di stargli leggermente davanti.
È il pilota dal carattere difficile (altra cosa mai negata), del quale si è detto un gran bene durante gli anni trascorsi a Maranello, del quale, una volta lasciato il Cavallino Rampante hanno iniziato a leggersi le peggio cose come se un’intera armata volesse decapitare in pubblico uno dei piloti più discussi e, ho scoperto in seguito, amati di questa Formula 1.
Era il 2001 quando iniziai a seguirlo. Il 2007 che me lo trovai davanti, vicino la prima volta. Ero a Monaco e avevo paura di fermarlo (di anni ne avevo 19, non 7). Fu lui a strapparmi la sua foto dalle mani per autografarla perché io non riuscivo a dargliela. Da quel momento ho letteralmente vissuto un’escalation di meravigliosi ricordi legati a questi incontri, a quelle che mi piace definire cacce all’uomo.
Una volta arrivato in Ferrari tutto cambia. Forse è il maggior numero di tifosi coi quali c’è la necessità di avere a che fare, la pressione, un’ambiente ermetico capace di ridurre al minimo i contatti con l’esterno. Dal 2010 provare ad avvicinare Fernando si è lentamente trasformato in una prova di sopravvivenza, dove a vincere era colui che riusciva a cadere, sfinito per ultimo. Ancora ricordo di averlo aspettato fino alle 22.30 a Monza, nel 2010, fuori dai paddock, dopo essere state la bellezza di otto ore alla transenna. Doveva andare alla Domenica Sportiva, erano in ritardo. Una sgommata e via. E dopo ogni episodio che finiva amaramente cercavo di trovare risposte che fondamentalmente non trovavo.
Per chi non lo sapesse sono di Genova e una delle specialità della mia città sono i canestrelli, biscotti di frolla con una tipica forma a fiore bucato al centro. Il panificio vicino casa mia ne sfornava tantissimi ed erano buoni. Decisi di portarli a Monaco, nel 2011, regalarne (ero una pazza scatenata!) un sacchetto a Massa e uno ad Alonso. Me lo ricordo come se fosse ieri: dopo la consegna, a un passaggio successivo davanti a noi mi disse che erano buonissimi e così decisi di replicare anche l’anno successivo. Velocemente si arriva al 2012. Per me è la seconda volta a Monaco, all’epoca il posto ideale per fermare i piloti e farsi foto con loro. Per entrare nel paddock erano obbligati a passare tra la folla e, con qualche colpo d’astuzia era piuttosto facile strappare una foto a uno e un autografo a un altro.
Era giovedì mattina ed eravamo arrivate da poco. Sostiamo fuori dal paddock, ma davanti al motorhome della Ferrari. Vediamo uscire dal suo interno il fisioterapista di Alonso che con passo veloce inizia a incamminarsi verso una delle stradine, che potenzialmente potevano portarci il nostro pilota. Aspettiamo leggermente staccati dalla folla che lo sta aspettando, appositamente per evitare di fare a pugni, tanto di spazio ce n’era a sufficienza per tutti. Se vi ricordate il 2012 è stato il famoso anno di Tomita. Anche a me piacciono i fumetti giapponesi e attaccato ai canestrelli avevo appeso un piccolo gashapon (un piccolo pupazzetto di plastica), che per certi versi poteva davvero fare compagnia a Tomita.
Quando arrivò da noi, lo fermai, gli diedi i canestrelli. Me lo ricordo come se fosse ieri. Fernando Alonso, pilota di Formula 1, pilota Ferrari, felice come un bambino per quel regalo così umile. Esclamò che erano i biscotti italiani che gli erano piaciuto tanto, mi prese la macchina fotografica, la diede al suo fisioterapista e gli chiese di scattarsi una foto con noi. Eccolo, era di nuovo lì il Fernando Alonso che avevo conosciuto in passato, davanti ai noi. Gentile, disponibile, entusiasta coi suoi fans. Questo è in assoluto il ricordo più bello che ho del mio pilota, perché non esistono differenze e anche la persona più abbiente e celebre, sa riconoscere un gesto se è fatto col cuore. Tutto questo per dirvi non giudicate il comportamento dei piloti fuori dalla pista, bisogna toccare con mano e magari il più delle volte non rendere conto a fatti riportati sui giornali ma anche a tante belle esperienze citate da tifosi qualunque!
Eleonora Ottonello