Datemi delle buone sospensioni e farò un assetto perfetto!
Breve analisi dell’importanza delle sospensioni nella definizione dell’assetto di una monoposto
Escludendo l’aerodinamica (lo so che ci vuole della fantasia per farlo…) la prestazione in curva di una vettura di Formula 1 dipende in massima parte dal suo assetto e dalle sospensioni. Ancora meglio: è tutto il comportamento della monoposto, la sua facilità di guida e la confidenza che dà al pilota a dipendere fortemente da come le forze di contatto tra ruote e terreno vengono trasmesse al telaio. E gli elementi che trasmettono queste forze sono le sospensioni, che collegano le ruote al corpo vettura.
La teoria non è difficile. La sospensione è un elemento composto da una molla che deve assicurare il contatto tra ruota e asfalto e da un ammortizzatore che deve smorzare l’oscillazione della suddetta molla (in modo che la macchina non continui a saltellare come uno yò yò). Niente di più. Il problema è che nella pratica si sono sviluppate centinaia di soluzioni per ottenere questo effetto. Accorgimenti, elementi aggiuntivi, controlli sempre più sofisticati con lo scopo di avvicinarsi all’assetto ideale. Ovvero quello di una macchina che assorbe le sconnessioni dell’asfalto e allo stesso tempo risulta immediatamente obbediente agli input del pilota.
SOSPENSIONI DURE O MORBIDE: IL PRIMO PROBLEMA DA RISOLVERE PER OTTENERE L’ASSETTO OTTIMALE IN OGNI SITUAZIONE
La prima, ardua, scelta per decidere il setup delle sospensioni riguarda la durezza delle molle. Un assetto “morbido” garantirà un contatto al suolo più continuo e quindi maggior tenuta di strada e trazione in uscita dalle curve. Anche maggior comfort per il pilota, ma immaginiamo che agli ingegneri non interessi molto questo parametro. Viceversa un assetto più duro solleciterà maggiormente le gomme ma in compenso renderà la vettura più reattiva e pronta, sia nell’inserimento che nei cambi di direzione.
È evidente come la configurazione della pista influisca notevolmente sul compromesso “duro-morbido”, ma anche la distribuzione del peso sui due assi e la rigidità del telaio sono parametri importanti. Ovviamente delle buone sospensioni devono permettere al pilota e all’ingegnere di pista di mettere in atto la configurazione preferita. A questo scopo gli schermi utilizzati sono stati, nei decenni passati, i più svariati. Non ci dilunghiamo sulla storia e descriviamo solo il punto di arrivo.
LO SCHEMA DELLE SOSPENSIONI UTILIZZATE ATTUALMENTE: PUSH ROD (A PUNTONE) E PULL ROD (A TIRANTE)
Ad oggi tutte le vetture adottano uno schema con due triangoli oscillanti sovrapposti che collegano il portamozzo al telaio. A trasmettere l’oscillazione della ruota è un puntone (push-rod) o un tirante (pull-rod). Il puntone o il tirante agiscono su un bilanciere che finalmente trasmette il movimento a molla e ammortizzatore. La molla non è più il classico mollone elicoidale che vediamo anche sulle nostre auto stradali. Data la rigidità richiesta alle sospensioni “da corsa” basta una “barra di torsione” che ingombra meno ed è più facile da regolare. L’ammortizzatore è invece un cilindro pieno d’olio.
Come vedete la questione comincia ad essere complicata: già per sostituire a una classica molla una barra di torsione, cioè un bastoncino che si torce intorno al proprio asse di pochi gradi, ce ne vuole di fantasia. Per inciso è un’idea che venne a John Barnard quando progettò la Ferrari dell’89. Non è più stata abbandonata. Ma gli ingegneri meccanici, forse in gara con gli aerodinamici, si sono sbizzarriti in mille altri interventi.
GLI ELEMENTI DELLE SOSPENSIONI CHE PERMETTONO UNA DEFINIZIONE PIU’ “FINE” DELL’ASSETTO
Un ulteriore elemento presente sia all’anteriore che al posteriore è la barra anti-rollio. Non si tratta altro che di un braccetto che collega la due sospensioni (sinistra e destra) di uno stesso asse. L’effetto è quello di rendere legati tra di loro gli spostamenti verticali della ruota interna e della ruota esterna così da poter controllare il coricamento della vettura in curva. Questo coricamento, detto appunto rollio, condiziona fortemente il comportamento della monoposto, e con l’introduzione di questa barra si è riusciti a limitarlo.
Un’altra diavoleria, più recente, è il cosiddetto terzo elemento, ovvero un ulteriore ammortizzatore posto tra i bilancieri di uno stesso asse. Col terzo elemento si riesce a limitare lo schiacciamento della macchina in pieno rettilineo (quando il carico aerodinamico è massimo) evitando di toccare il suolo col fondo. In curva la macchina riprende il suo assetto ottimale.
Non bastasse, a smontare gli elementi di una sospensione se ne scoprono di altre. In primo luogo i materiali usati sono veramente molto evoluti. I bilancieri sono in titanio, i triangoli e i puntoni in carbonio. Pezzi meccanici che trasmettono forze di qualche tonnellata arrivano così a pesare poche centinaia di grammi. Inoltre i componenti investiti dall’aria hanno una forma aerodinamica, cioè una sezione trasversale che facilita e in alcuni casi indirizza il flusso d’aria che li investe. Roba che agli albori della Formula 1 nessuno avrebbe immaginato.
INTELLIGENTI, DOPPIE, “INESISTENTI”: QUELLI CHE CON LE SOSPENSIONI HANNO OLTREPASSATO I LIMITI DELL’IMMAGINAZIONE
Per finire ci concediamo un po’ di aneddoti, partendo dai più recenti. Nell’87 la Lotus portò per la prima volta in pista, sulla macchina gialla di Senna, una tipologia di sospensioni definite “intelligenti”. Altro non era che un sistema complicatissimo in cui le molle e gli ammortizzatori venivano controllati in maniera elettroidraulica e cambiavano in ogni momento le loro caratteristiche.
La macchina era piena di accelerometri, tubi di Pitot e antenne, tanto da sembrare il tetto di un condominio. Ma l’idea fu fantastica, tanto che sulle piste cittadine Senna divenne imprendibile e negli anni successivi le sospensioni attive le monteranno tutte le squadre. In pratica con le sospensioni intelligenti si garantiva costantemente l’assetto ottimale.
Le vetture diventarono talmente comode da guidare che la Federazione proibì l’uso di queste sospensioni alla fine del ’93. Era diventato tutto troppo facile. Meno male che un pilota aveva già coniato la battuta del decennio commentando le vittorie di Mansell con la Williams: “Sulla macchina di Nigel le sospensioni sono l’unica cosa intelligente“. Cattivello.
L’USO, O IL NON USO, DELLE SOSPENSIONI SULLE WING CAR. IL MASSIMO GRIP, COSTI QUEL CHE COSTI
Qualche anno prima, in piena era wing car, l’esigenza di mantenere la vettura più bassa possibile aveva fatto venire ai progettisti inglesi idee poco meno che malsane. Nell’80 Colin Chapman aveva realizzato una vettura stupenda, la Lotus 88. Era dotata di un sistema di sospensione tradizionale che collegava le ruote al telaio, e di un ulteriore “quartetto” di sospensioni, molto morbide, che collegava invece la carrozzeria al telaio. Appena saliva la velocità la carrozzeria si abbassava fino a terra, sigillando le pance e dando luogo a un effetto suolo spaventosamente efficace. Non la fecero mai correre, la Lotus 88. Era instabile e pericolosa. E geniale.
Infine l’idea più inverosimile. Alla fine degli anni ’70 sia la Lotus che la Williams provarono a girare con prototipi privi di sospensioni, in modo da tenere costante, e minima, l’altezza da terra. Il collaudatore della Lotus scese e disse “L’assetto non sarebbe male, se solo riuscissi a tenere i piedi sui pedali“. Alla Williams confidarono nelle doti fisiche e nelle spalle rugbistiche di Alan Jones, ma dopo qualche giro l’australiano scese e disse che non ce la faceva neanche lui.
Meno male per tutti, anche per chi altrimenti non avrebbe potuto scrivere questo pezzo.