Gli sport a motore, tanto danno e tanto, soprattutto tolgono, scrivendo storie destinate alla memoria. Vent’anni. Due decadi, così tanto tempo. Ayrton Senna è morto il 1° maggio del 1994 in occasione della Festa dei Lavoratori, forse proprio l’unico giorno in cui il brasiliano aveva dei dubbi sul correre, ancora troppo scioccato dalla morte di Roland Ratzenberger, un giorno prima. Il pilota brasiliano è andato a schiantarsi con la sua Williams contro il muretto alla curva del Tamburello del circuito Enzo e Dino Ferrari di Imola, in occasione del Gran Premio di San Marino, quando aveva 34 anni. Un’incidente tremendamente drammatico che a distanza di tanto tempo ancora percuote il corpo e fa venire la pelle d’oca. Non sono stati fatti colpevoli, solo sospetti, ma i fans la loro idea se la sono fatta, e bene! Da quel momento si è fatto tanto per la sicurezza dei piloti, tanto che, nonostante lo sciagurato caso di Maria de Villota, non si sono più contati morti nella massima categoria dell’automobilismo mondiale.
Non c’era mai stato e non ci sarà più uno come Ayrton, un uomo capace di incantare diverse generazioni. Un idolo non corre senza quattro caratteristiche fondamentali: il talento, il successo, il carisma e la circostanze favorevoli. Il brasiliano le aveva tutte. Sulla pista così come nella vita di tutti i giorni era magnetico, affascinante e folle: una personalità complessa e impenetrabile, un pilota emozionale, impulsivo, un talento naturale. Non l’ho mai seguito in televisione, non ho avuto il piacere di farlo, non l’ho mai conosciuto. La sua carriera in Formula 1 iniziò quando io neppure ero nata, quando morì avevo sette anni ma di vetture, piloti e categorie automobilistiche non sapevo nulla. Il paulista è sempre stato raccontato come una leggenda, veniva descritto come se si stesse parlando dell’essenza mistica delle corse, l’espressione pura dell’automobilismo sportivo, il miglior prodotto esportabile di un Brasile dilaniato da crisi e fame.
Un mix perfetto di talento, coraggio, preparazione tecnica e atletica. Un predestinato e precursore del pilota moderno. Specialista della qualifica e mago sulla pista bagnata, eppure nel suo cuore si celava molto più di un pilota. Era un uomo, e come tutti gli uomini, non poteva essere un santo. A contraddistinguerlo da tutto il resto era proprio il suo grande cuore e l’attenzione nei confronti delle persone meno fortunate. Puro, è l’unica parola che possiamo utilizzare per descrivere Ayrton, la sua intenzione non era far colpo sugli altri, lui si emozionava, profondamente in positivo o in negativo. Odiava la politica e qualunque gioco di potere che potesse interferire con lo sport, col suo regolare svolgimento, ma troppo spesso, è il business a vincere su ogni altro fattore. The show must go On!
3 campionati del mondo vinti, 65 pole position, 41 vittorie e 89 podi in 161 gare. Alle volte il palmarès sportivo diventa un accessorio. Solo i miti come Elvis, Lady Diana, J.F. Kennedy, Gandhi o i Beatles lasciano il mondo e, dopo parecchi anni, sono ancora ricordati e divinizzati, con amore e passione. E dopo 20 anni anche il brasiliano continua a essere uno dei membri di questo esclusivo club. Il nome di Ayrton Senna evoca, nella memoria di tutti, la Formula 1 d’altri tempi: era molto di più di un pilota, era il casco giallo sulla griglia di partenza che catturava gli occhi dei telespettatori, era il mago della pioggia, che sotto al diluvio universale dava prova della sua abilità e maestria al volante.
Dopo l’incidente mortale di Ratzenberger al sabato, Ayrton non voleva correre quel Gran Premio, lo aveva confidato alla fidanzata dell’epoca, Adriane Galisteu, quando i due si sentirono la sera del 30 aprile. Il brasiliano sembrava perplesso e confuso come non mai ma nonostante i dubbi e le carenze della sua monoposto partiva in pole davanti a Schumacher. Alle ore 14.17 di domenica 1° maggio, Ayrton Senna transita per l’ultima volta sul traguardo di un gran premio di F1: affronta la curva del Tamburello in piena velocità e la vettura sbanda a destra, proprio poco dopo il cartello pubblicitario I pilotissimi, proprio lui che era il migliore. Il botto è forte, la speranza di tutti è che possa trattarsi dell’ennesimo incidente senza gravi conseguenze a non è così. I fans hanno ancora nitide nella testa le immagini di Ratzenberger, esanime dentro la sua Simtek. Anche Ayrton non si muove, è immobile con la testa piegata in modo innaturale. Il corpo non riporta gravi lesioni ma il cervello è stato letteralmente perforato dal puntone della sospensione anteriore destra.
Quando il Brasile falliva sul campo da calcio, era Senna a risollevare lo sport brasiliano e l’orgoglio della sua gente. In occasione di quell’ultimo viaggio, verso la terra natia, la bara di Ayrton fu avvolta nella bandiera verdeoro. Il comandante del volo Varig RG723 che partiva da Parigi ed era diretto a San Paolo, fece togliere 4 sedili in business class perché si rifiutò categoricamente di sistemare il corpo, esanime, nella stiva. Quando l’aereo atterrò in Brasile si è contato oltre il milione di persone che si misero in coda per le strade di San Paolo per rendere omaggio al loro figliol prodigo, centinaia di migliaia di persone si misero in fila per ore per salutare l’ultima volta il Campeão, in 250 mila scortarono il corteo funebre fino al cimitero fino al cimitero di Morumbi. Numero da capogiro per quello che ancora oggi viene ricordato come un idolo, un eroe, un simbolo nazionale.
Eleonora Ottonello
@lapisinha